martedì 31 luglio 2012

Galleria immagini - al Cuco

                                            
Jiorgio e Consorte

Casciano e Giovanna

Mario - Serena - Jenio

Felicya - Gnata e Consorte


Jino - Jiorgio - Nico

Marito Lucia - marito Felicya - Pino - Lucia


Mario - Luciana - Renato

Maurizio e Felycia

Nico e Jiorgio

Mario - Serena - Jenio - Jani -Giorgio - Mario - Luciana - Renato

Luigi Sebastiani


lunedì 30 luglio 2012

Galleria immagini - corpo nazionale del soccorso alpino


Queste foto sono parte degli atti costitutivi 
del Gruppo di Valdastico 
- Sezione di Arsiero - 
del "Corpo Nazionale di Soccorso Alpino"



 Il Gruppo è stato costituito 
a seguito dell'alluvione dell'Astico nel 1960 
ed entra in funzione l'anno successivo 
per l'intervento alla Contrà Lucca 
minacciata dal furioso incendio.


 Fra i Soci di Arsiero si riconoscono:
Vettori - Fattor - Pattanaro - 
Pasquali - Meneghini -Pigato

***
Fra i Soci di Valdastico si riconoscono:
Celso Alessi - Mario Costa - Roberto Lorenzi - 
Lino Lorenzi - Mario Lorenzi - Toni Righele - 
Giovanni Serafini - Gianni Slaviero - Bepi Slaviero - 
Bruno Slaviero - Giorgio Slaviero - Eugenio Toldo - 
(foto e spiegazione by Jenio Toldo)



domenica 29 luglio 2012

Rosina la talpa


Alla fattoria di Milly finalmente dopo tanta pioggia, il sole era tornato a splendere e un’arietta fresca muoveva leggermente le fronde degli alberi: pareva quasi stessero danzando!


La mussetta Olga se ne  stava tranquilla a brucare l’erba un po’ in disparte mentre le caprette nel recinto vicino, si godevano i caldi raggi del sole. Galline, oche e anatre chiacchieravano tra loro e si raccontavano le ultime novità… A poco a poco, il prato a loro vicino, iniziò a riempirsi di bimbi che con le loro gioiose grida, facevano una gran confusione: sembrava che la terra tremasse, che quel finimondo facesse muovere i fili d’erba… Olga drizzò le orecchie, smise di masticare e osservò quello che stava accadendo. Sull’erba tante coperte distese, cuscini colorati, grandi peluche e una frotta di bimbi: alcuni di pochi mesi, altri dai 3 ai 10 anni, Olga capì che quello sarebbe stato proprio un pomeriggio movimentato! Poi , finalmente un po’ di quiete: racconti, filastrocche e indovinelli avevano riempito l’aria e quindi l’atmosfera era cambiata. Le caprette incuriosite erano venute ai bordi del recinto mentre le galline, più paurose, erano rimaste nel loro cortile. Il pomeriggio continuò tra canti e racconti e poi la merenda! E che merenda ! C’era di tutto ma al di là del recinto non passava niente, tutti erano intenti a mangiare e degli animali nessuno si curava, così tornò la solita tranquillità. A un tratto  Olga sentì qualcosa che spingeva la terra sotto ai suoi zoccoli e fece un gran salto per la paura…. Dopo un attimo, la terra si mosse e apparve un musetto nero che annusava l’aria, che si guardava intorno,  quasi avesse perso l’orientamento. Uscì dal tutto da quel buco Rosina, una piccola talpa che, sentito tutto quel fracasso, era uscita dalle sue infinite gallerie ma si era accorta che era sbucata in un posto pericoloso. La musetta aveva chiamato le capre, le galline, le anatre e le oche e rutti insieme davano calci, beccate, scornate all’intrusa che era arrivata…Rosina si sentì finita, non aveva scampo…la sua galleria, a furia di tanti colpi di zoccoli, era franata e non sapeva più dove andare e se aggiungiamo che era tanto accecata, la situazione era abbastanza disperata. Ma tutto quel trambusto, tutti quei belare e ragliare avevano richiamato la padrona che veloce stava arrivando sul posto. Spostò dolcemente Olga che non voleva muoversi, allontanò le caprette e cercò di far spostare il resto degli abitanti della sua fattoria. Quando riuscì nel suo intento, vide la povera talpa  che giaceva quasi esanime , piena di terra e respirava a fatica.La prese fra le mani e sentì il suo cuore che batteva forte per la paura, ma con dolci parole la rincuorò, tanto che dopo pochi minuti era più tranquilla. Pensò che quel piccolo animaletto che viveva sotto terra, aveva urgente bisogno di tornare  al buio e così, cercò un luogo sicuro dove depositarla. Attraversò il prato di là del recinto e scorse vari cumuli di terra segno che da lì partivano i cunicoli sotterranei che avrebbero dato modo a Rosina di tornare alla sua vita. Le fece una piccola carezza mentre la talpa annusava e cercava di capire chi fosse quell’essere che l’aveva salvata da morte sicura. Ma visto che non ci vedeva, non riusciva a identificare nulla e così si limitò ad annusare e scoprì un odore strano, non conosciuto. Ora, a poco importava, lei era salva  e stava per tornare alla sua vita di sempre, aveva vissuto una brutta avventura ma era stata fortunata e, mentre rientrava nella galleria, si voltò e alzò una zampetta in segno di saluto e soprattutto per  dire grazie. Milly la guardò mentre scompariva nella scura terra e sorrise pensando a quel buffo animaletto che aveva salvato da morte sicura: sì è vero, le talpe rovinano i prati, uscendo fanno dei cumuli che disturbano il taglio del fieno e i contadini cercano di catturarle con le trappole…ma per questa volta Rosina la talpa, grazie a un essere umano, avrebbe continuato il suo lavoro sotterraneo,avrebbe scavato cunicoli e gallerie insieme alle sue amiche e di tanto in tanto sarebbe uscita a fare un giro per i prati. Ciao Rosina !!!!!

                                                                          Lucia Marangoni  

sabato 28 luglio 2012

Galleria immagini - filò estivo...davanti "al Magasìn "dei Polachi"...

Da sx: Renzo Toldo - Ida Astegher - Franco Sella - Valerio Toldo - Antonietto Sella - Silvio Eugenio Toldo - Mario Bonifaci - Silvano Sella - Antonio Sella - Luigi Zampieri - Adriano Toldo -
Bambini a terra da sx: Ampelio Sella - Romano Lorenzi - Marco Bonifaci - (?) Giorgio Toldo -

05-08-1956

venerdì 27 luglio 2012

Musicisti in erba


Suonare divertendosi”
tre ragazzi e la musica!

     Ai nostri giorni, quando si parla di attività dei bambini e dei ragazzi, maschi o femmine che siano, la prima cosa che viene in mente è lo sport: il primo è il calcio e poi a seguire, basket, pallavolo, karate, danza, nuoto, ginnastica e tutto quello che ad ogni inizio di anno scolastico, viene proposto. A volte ci si ritrova a dover correre ogni giorno a destra e sinistra per i molteplici impegni dei figli che spesso lasciano poco spazio per altre attività, ma oltre a queste diciamo “passioni”, alcuni ragazzi di Pedescala, hanno intrapreso da alcuni anni un percorso forse poco conosciuto, ma pieno e gratificante: studiare musica e suonare uno strumento. Tutto questo supportato e seguito con gioia dai genitori che, comprendendo le affinità dei figli, si prodigano per dare loro la possibilità di esprimere ciò che hanno dentro. Tobia e Gabriele De Rosso, violino e violoncello, hanno ereditato dalla famiglia questo speciale bagaglio: il nonno paterno Rino ha suonato il sassofono e il clarinetto per 43 anni nella Banda Cittadina di Arsiero e circa 10 anni con l’orchestra di 8 elementi del Gruppo Teatrale di filo-drammatica, sempre di Arsiero. Il papà Enrico, che ha studiato pianoforte, è organista nella Parrocchia di Pedescala. Rino ha insegnato solfeggio al figlio e ai nipoti: la tradizione continua anche se con scelte diverse, infatti Rino è amante degli strumenti a fiato, Enrico di quelli a tastiera, Tobia e Gabriele di quelli ad arco. Tre generazioni con qualcosa in comune ma con scelte diverse com’è giusto che sia! Invece, Leonardo Panozzo che suona il flauto, ha iniziato da solo e insieme ai suoi amici sta vivendo questa stupenda avventura che ha già dato le prime soddisfazioni. Anche la piccola Anna, sorella di Leonardo, si unisce all’esecuzione di alcuni brani suonando il tamburello a sonagli, dando alle melodie un tocco frizzante. Tobia e Gabriele studiano all’Accademia Musicale di Schio, mentre Leonardo e Anna studiano nella stessa Accademia, ma nella sezione staccata di Piovene Rocchette. Oltre ai vari concerti scolastici, nel periodo natalizio,insieme al Coro Monte Caviojo di Arsiero, hanno allietato una serata in chiesa a Castana riscuotendo applausi ed incitamenti; la notte di Natale si sono esibiti durante la S. Messa a Pedescala, accompagnando i canti dei ragazzi del catechismo; a Forni hanno partecipato a una serata di beneficenza insieme al Coro Parrocchiale di Forni dove, con una chiesa gremita, hanno arricchito la serata e sono stati apprezzati da tutti. La cosa che però credo abbia riempito di più il loro cuore, è stato il pomeriggio del 3 gennaio 2012, quando insieme ai compagni di Catechismo di Pedescala e alcuni di S. Pietro, si sono recati in visita alla Casa di Riposo di Valdastico, per trovare i tanti Nonni ospiti e portare loro un po’ di gioia. Assieme alle Catechiste e ad alcune persone della “Stella”, sono stati eseguiti canti, poesie e musica, condita con la simpatia e la freschezza che solo i ragazzi sanno portare. Questo è stato un modo per “dare” qualcosa di particolare agli altri; in un periodo dove i regali la fanno da padrone, cercare di regalare un sorriso, è senza dubbio un modo per arricchirsi di quei valori che spesso vengono dimenticati. I nonni ospiti hanno cantato le canzoni, applaudito volentieri, ringraziato rubando una promessa: che questo gruppo di giovani tornasse ancora ad allietare qualche pomeriggio di questa loro vita fatta spesso di giorni uguali.

Melodia, gioia, armonia, musica… quanto sanno infondere in chi si mette all’ascolto! Ogni persona “sente” in modo diverso, ma per tutti la musica sa dare sensazioni speciali che fanno far volare la mente e riempire il cuore. Vedere suonare questi ragazzi, fa capire quanto sia l’amore che hanno per la musica e per lo strumento che tengono in mano: sembra che siano un tutt’uno, sembrano fondersi con l’armonia mentre le note musicali escono dal fiato o dal tocco delle mani. A Tobia, Gabriele, Leonardo e Anna, musicisti in erba, l’augurio di un percorso pieno di soddisfazioni, ma più di tutto, che questa loro passione sappia dare a loro stessi, nel loro intimo, ciò di cui hanno bisogno. Ogni persona che ha una speciale attitudine, riesce a trovare in essa un’amica unica e speciale che mai tradirà, che darà gioia, che sarà rifugio, dove si potrà sempre trovare quello che la mente e il cuore cerca. A tutti i ragazzi che iniziano un cammino di particolare impegno, va un incitamento a proseguire nonostante le difficoltà e un augurio di continuare, con le esibizioni, a far conoscere la gioia di esprimere il loro amore per la musica.
Lucia Marangoni

mercoledì 25 luglio 2012

Galleria immagini - scuola di cucito anni 50


SCUOLA DI CUCITO ANNI '50
...


1 - Lores Basso - 2 - Dina Stefani - 3 - Isana Slaviero - 4 - Gabriella Lucca - 5 - Ottilia Lucca - 6 - Lorenzina Cerato - 7 - Severina Slaviero - 8 - Valeria Toldo - 9 - Rina Canale - 10 -Caterina Sartori - 11 - Irene Slaviero - 12 - Maria Spagnolo - 13 - Gabriella Spagnolo - 14 - Fioretta Toldo - 15 - Giuseppina Fontana - 16 - Anna Sartori - 17 - Edda Sartori - 18 - Lena Giacomelli - 19 - Ileana Pesavento - 20 - Ivana Sella - 21 - Liliana Cerato - 22 - Clelia Bonifaci - 23 - Rina Slaviero

martedì 24 luglio 2012

La stanza dabbasso


In casa mia eravamo cinque persone: i mie genitori, due sorelle ed io.
Abitavamo in una casa di Via Costo lungo la strada che porta a Caltrano, proprio accanto al curvone appena dopo il ponte ed il capitello che distavano da noi un tiro di sasso.
La casa era stata costruita partendo da una vecchia stalla di sasso che era stata dei “Mimbri”; mio padre aveva acquistato quel mezzo rudere da “Baciùni” con un pezzo di terra in riva declinante a balze sul crinale dell’Astico.
   Forse valeva più la terra che lo stabile, in effetti, faticandoci un po’ sù poteva dare qualche ettolitro di vino, aveva delle grandi “siaresàre”, qualche “pomàro”, diversi “peràri” e dei “brombàri”. Accanto alla stalla vi era un pezzo di terra piano in cui si era ricavato l’orto che veniva tenuto per le verdure di uso domestico, un pozzo che raccoglieva l’acqua piovana dal tetto e in un angolo vicino al muro di cinta un "cesso" malmesso e decrepito, mezzo “infrascato” di edera che funzionava da servizio igienico.
Serviva a noi di casa per le nostre impellenze e per ingrassare l’orto quando a primavera mio padre con un rituale senza imbarazzo spargeva il contenuto della vasca biologica, in cui si raccoglieva il frutto delle nostre urgenze, sulla terra.
Per questa operazione usava un attrezzo costituito da un manico di legno a cui aveva assicurato un elmetto tedesco che veniva immerso con perizia nel liquame per poi travasarlo dove ne vedeva l’utilità.
Non ho mai capito perché si usasse in tante case questo dispositivo, forse per un non nascosto atto di disprezzo verso quell’esercito e quel popolo che tanto avevano segnato di dolori e di morte il popolo Italiano durante la seconda guerra mondiale.
Passava poi alla fase successiva, in cui rivoltava la terra, chinandosi sulla vanga con foga e forza. “El lavora come na bestia ‘sto poro can” sospirava mia madre che doveva gestire la casa, noi figli, l’economia domestica e non ne aveva un minuto anche lei.
Mio padre lavorava in fabbrica alla “Lanerossi” di Piovene stabilimento numero 1 e forse era lì tra un lavaggio e l’altro della lana dentro le grandi macchine che si riposava un po’.
A casa tra il campo, le bestie, qualche lavoretto a terzi, la caccia, l'andar per funghi e “a selgaròle con le moscaròle in tel’Astego” consumava in fretta il suo tempo e le sue forze.
La sua famiglia venne a Chiuppano nel ’41 a gestire in affitto la trattoria con alloggio “Alla Pesa” e verso il ’50, con l’intenzione di fermarsi definitivamente in paese, acquistò per sè la stalla sù citata. Conobbe mia madre quando non era più giovanissimo:aveva 37 anni e 32 mia madre.
Credo che entrambi colsero l’ultima occasione per sistemarsi che passava loro davanti.
A quel tempo una donna di 32 anni era praticamente una zitella definitiva e un uomo, sicuramente poteva rincorrere delle opportunità, ma da lì a sistemarsi c’era ancora qualche sogno da fare.
Avevano attraversato la guerra, questo sì, lasciando i loro anni più belli impigliati in tempi grami e di paura; inoltre mia madre a 20 anni fu quasi rovinata dal tetano che la ridusse in fin di vita, senza denti e senza capelli.
La guerra poi finì, i suoi capelli ricrebbero con la speranza di una vita meno dura, ma i denti li ho sempre visti rovinosamente malmessi e mai pensò di sistemarseli.
Questo stato credo abbia segnato irrimediabilmente il suo carattere; si rintanò in casa e ne usciva in rare occasioni, che non fossero la messa prima la domenica a Caltrano.
La ricordo qualche volta al cimitero sulla tomba dei genitori, poi nient'altro.
Per lei il mondo finiva davanti al cancello di casa e lo teneva ben chiuso, quasi che diventasse una grata che separava la sua clausura dall’esterno, inoltre il senso di gelosia e di possesso nei confronti di noi figli, certamente non ci fece trascorrere un'infanzia ed adolescenza felici.
Dunque mio padre lavorando in fabbrica e con l’aiuto di qualche “muràro” a mezzo servizio, sopra la stalla buttarono sù un altro piano: due stanze, camera e cucina separate da un piccolo corridoio.
Sistemarono il tetto, il colore a sbruffo giallo “canarìn”, la ringhiera ben lavorata con intreccio a rombi.
Il risultato era anche piacevole a vedersi.
Nei primi anni ’50 era una casa piccola, ma moderna, l’inconveniente era che poteva bastare a due persone, non di più.
Si sposarono nel ’52 con pochi parenti stretti intorno ed una festa in casa; forse a quell'età era un po’ vergognoso e fuori luogo fare grandi cerimonie e mettere l’abito bianco.
Non vi furono foto della cerimonia, né della festa e poche volte i miei parlarono di quel giorno: non ho mai capito bene il perché. Solo da poco ho saputo la data esatta del loro matrimonio: 29 gennaio ’52.
Dopo una gravidanza non portata a termine, nel ’54 nacqui io e chiaramente riempii la casa, già piccola di suo, nel senso che dovetti per i primi mesi dormire in camera con i miei genitori.
Dovettero così pensare di aggiungere qualche stanza e così a fatica e con sacrificio, senza tanti permessi e progetti aggiunsero un’ala nuova alla casa.
Due stanze, una sopra l’altra.
Ottennero così che sotto allargarono la stalla e sopra aggiunsero una camera.
La camera dei figli.
Vennero poi ad intervallo di due e di cinque anni altre due figlie, anche loro chiaramente sistemate in quella nuova stanza.
Praticamente la nostra vita di cinque persone si svolgeva in tre locali: due camere, la cucina e un piccolo corridoio.
La cucina serviva per tante attività: oltre che a sala da pranzo, era lo studio per noi che andavamo a scuola, la lavanderia e tutto quello di cui necessitava ad una attività domestica.
Finché noi figli eravamo piccoli, non vi erano particolari necessità. La promiscuità non era un problema e nemmeno lo spazio esiguo era vissuto con patemi d’animo.
Sapevamo farci bastare il tutto e sapevamo ritagliarci degli scampoli di privacy in quel dedalo di letti, mobili e libri di scuola e attrezzi di casa.
Quando però io iniziai ad andare verso i quattordici anni mia madre intuì che forse non era più il caso di tenere tutti i figli insieme e con mio padre si impegnarono a trovare una soluzione.
Stavamo diventando grandi, io cominciai a frequentare le scuole superiori e chiaramente non ero più un bambino; cominciavano i primi turbamenti, le prime curiosità, le prime effervescenze.
Chiaramente in casa non si toccava assolutamente il tasto del sesso; nessuna domanda, nessun termine che appena accennasse alla sfera affettiva ed intima, nessun discorso.
Per cui quella promiscuità in camera chissà che pensieri davano a mia madre che nemmeno mai nominava i termini incinta, seno…
A casa cominciarono a comparire dei giornali che io compravo in edicola e che avevano a quel tempo un grande seguito.
Io compravo la rivista ”Giovani” poi passai a “Ciao 2001”.
Le leggevo con vorace attenzione, parlavano di canzoni, di gruppi musicali, di tendenze, di mode, di hippy e di beat.
Molto interessanti all’interno dei due settimanali erano le rubriche sulla sessualità e di psicologia. Affrontavano dei temi che si sarebbero dovuti discutere nelle famiglie, parlavano di verginità, di contraccezione, di pillola e di preservativi.
Inoltre il direttore rispondeva alle domande dei lettori, questioni che potevano anche essere poste in altre sedi, ma quali a quel tempo?
La scuola era ancora distante da certi temi di carattere sessuale o psicologico e nelle famiglie i bambini li portava ancora la cicogna e la sessualità era cosa sconosciuta o meglio una parolaccia che solo “gli sporcaccioni” toccavano.
Mia madre di nascosto sbirciava queste riviste e logicamente le rubriche che a noi interessavano, attiravano anche la sua attenzione.
Così si rese conto in fretta che in casa stava crescendo, secondo lei, un poco timorato di Dio e che faceva pericolose incursioni su campi che sarebbero dovuti restare segreti o relegati nel mondo degli adulti, che forse cominciava a fare brutti pensieri e magari nemmeno li confessava.
In breve fu trovata una soluzione: mi dovevo trasferire dabbasso in una stanza che era accanto alla stalla e che aveva ospitato di tanto in tanto mia nonna paterna Francesca, quando veniva a trovarci da Fara.
C’erano dei lavori da fare come il pavimento, il colore alle pareti e qualche altro ritocco.
Mi offrii con soddisfazione di dare una mano: non vedevo l’ora di avere una stanza tutta mia, senza dover contendere lo spazio alle mie sorelle e quella intimità che diventa indispensabile man mano che si cresce.
Innanzitutto fu portato via tutto l’armamentario che c’era all’interno: casse di roba vecchia e poco usata, attrezzi per la caccia e la pesca, la moto di mio padre, le scaffalature piene di polvere, di tarme e di ragnatele.
Sfrattai le galline che qualche volta venivano messe a covare nella stanza, e gli uccelli che venivano messi in “mua” nelle gabbie coperte da un telo nero.
Mio padre si sentiva in qualche modo defraudato del suo spazio e dei suoi averi; guardava un po’ sconsolato le operazioni di sgombero, a volte bofonchiava a denti stretti, ma non c’erano alternative.
Il pavimento di “solàro de legno meso marso” fu tolto e al suo posto, con l’aiuto di un amico di casa che era Ottorino “Rinaldo” fu messo un pavimento di cemento coperto con una guaina di linoleum verde azzurro. Furono imbiancate le pareti con la calce per disinfettarle dai “piòci puldìni”, fu applicata qualche presa di corrente in più e con un tocco forte io ridipinsi la porta e la finestra di un arancione che era un pugno in un occhio.
Cominciai poi io a sistemare l’interno e l’arredamento.
Sulla sinistra della porta appesi un vecchio attaccapanni di legno che avevo recuperato in”granàro”, in un angolo posizionai, dopo averle ben pulite e ridipinte, tre piccole botti su cui appoggiai un bel giradischi “Europhon” con due grosse casse coperte da una tela di sacco che mi cucì mia zia Teresina; sulla parete di fronte alla porta piazzai la scrivania di fòrmica finto legno e sopra, attaccato al muro, uno scaffale per i libri che avevo ricavato da una “tola” che mi aveva regalato “Bepi Rana”.
Accanto ai libri c’era lo spazio per la buona raccolta di 33 giri che in qualche anno mi ero fatta. C’erano i dischi del “Banco Banco”, di De Andrè, di Guccini, dei Trip, del Teatro Temporaneamente Traballante, dell’Antica Locanda, Stormy Six…
Il tocco originale però lo ottenni quando pensai di sistemare sotto il letto quattro ruote di legno di quelle che si usavano per i carretti trainati dai cavalli o dai “mussi”. Le avevo in casa ed erano in un angolo inutilizzate perché ormai avevamo venduto il “musso” e accantonati sotto una “barchessa” i carretti che usavamo.
Più che un letto sembrava una diligenza o un carretto di quelli che si vedevano nei film western che passavano al cinema.
Completavano l’arredamento una stufetta a metano per il riscaldamento d’inverno e una cassapanca in cui tenevo delle vecchie cose che mi piacevano e che erano ricordi di casa.
In poco tempo questa stanza divenne il mio mondo e la mia libertà, finalmente avevo uno spazio tutto mio in cui fare quello che mi pareva. Se qualche sera tornavo tardi non mi sentiva nessuno e non dovevo dare spiegazioni, ma soprattutto potevo stare con chi volevo senza dover passare sotto gli sguardi severi di mia madre che era sempre vigile sulle mie frequentazioni.
Fuori, in paese, a Schio e nel mondo soffiavano i venti libertari della contestazione, contro tutto e tutti, si parlava di pace e di libertà, di amore libero, di politica, di spinelli e di viaggi…
Forse eravamo poco preparati e poco profondi in questi argomenti, ma non importava, bastava esserci, partecipare, anche in silenzio, anche vestendo in un certo modo con jeans ed eskimo e magari salutare con le dita aperte in segno di V o aver scritto sui pantaloni smarriti la parola pace.
I nostri miti erano Che Guevara, Mao, Marcuse, Luther king, Hendrix, i Pink Floid, i preti operai, don Milani, Pannella e i radicali, Pasolini…
Mia madre, mio padre ed in genere i genitori dei miei amici erano preoccupati da tutto questo “rabaltamento”, da questa mancanza di regole e di rispetto che vedevano nei nostri comportamenti.
I nostri riferimenti non erano più quelli che erano stati i loro, come il prete, il maestro, e pochi altri.
I nostri orizzonti si erano aperti allargando i confini della morale della sessualità e dell’impertinenza.
Certo non si sarebbero immaginati, di aver tirato sù con tutta la fatica che ci avevano messo, dei poco di buono, per nulla timorati di Dio, dei capelloni “strasonà” e delle ragazze che giravano “col culo fora” alludendo alle minigonne.
Io studiavo a Schio “all’Itis De Pretto” e assorbivo quelle idee e quei principi che attraversavano la nostra generazione dai ragazzi che frequentavano la scuola. Avevo fatto delle amicizie che mi riempirono la vita di sogni e di utopie, che mi aprirono il confine angusto del mio mondo e della mia timidezza.
Certo ho sempre cercato comunque di pensare e di agire con la mia testa, non mi sono mai imbarcato in storie pericolose e pesanti forse perché in cuor mio avevo troppo rispetto per gli sforzi dei miei genitori, che capivo i sacrifici che facevano per darmi un futuro migliore, anche se non ho mai giudicato chi dei miei amici si è incamminato su strade che a volte non hanno avuto ritorno.
Anzi, a loro ho voluto bene e portato rispetto, pensando fatalisticamente che doveva andare così.
Il mio paese, Chiuppano, era diventato un incrocio di storie e di occasioni; un punto di ritrovo per tanti ragazzi che avevano “quelle idee” che coloravano quei giorni e che davano la sensazione di vivere una primavera infinita. Ci incontravamo ogni sera tra di noi giovani intorno ai venti anni, ed era un piacere sentirsi parte del gruppo, di quell’ambiente e di quella atmosfera.
Un altro punto di ritrovo oltre al Patronato “Merica” e la stanzetta di Joe, divenne la mia stanza.
Io ci studiavo, ci dormivo e la sera, (quando i miei genitori, che si alzavano sempre presto ed altrettanto presto la sera andavano a dormire), arrivavano gli amici e le amiche, ma anche ragazzi che si univano ad altri, attratti dal gruppo.
Più che altro, ci trovavamo per ascoltare la musica sparata a volume alto dal giradischi che troneggiava sopra le botti. Portavano qualche birra, qualche bottiglia di vino, girava qualche spinello, ma non ho mai visto niente di più a casa mia. Divisa da una parete, accanto alla mia stanza c’era la stalla.
Quel muro divideva il mio mondo fatto di musica e di incontri da un mondo arcaico e contadino che era ormai al tramonto, ma che in casa mia continuava a trascinarsi malamente con tutto il suo armamentario di attrezzi e di animali.
Il “musso” era stato venduto da qualche anno, ma continuavano ad esserci le galline, la capra, una mucca.
Purtroppo a me davano molto di imbarazzo, perché venivano nella mia stanza anche ragazzi di Schio e di Thiene e dintorni che certamente non avevano animali in casa e a me sembrava che il medioevo si fosse fermato solo a casa mia.
Raggiungevo il massimo del disagio se c’erano delle ragazze; tutte tirate, profumate, con un certo linguaggio radical chic…era la mia timidezza che come una brutta compagnia mi faceva apparire le cose in maniera distorta e goffa.
Mi madre mi raccomandava che non mi lasciassi “infenociàre” o ”insinganàre” da qualche “anguàna”, di quelle con le “còtole curte”.
Io avevo ancora a che fare con la stalla, “il socàle, il luamàro, le boàsse, i schiti e i piòci puldìni”…”poro mi” che vergogna!
Avevo, era vero, la mia stanza, anche originale che tutti apprezzavano, specialmente quel letto con le ruote, il giradischi, ma il resto…medioevo profondo.
Una volta successe che a notte inoltrata, sarà stato verso mezzanotte, stavamo ascoltando un disco dei Pink Floid a volume alto.
Una musica che portava in alto, anzi più sù, sù fino a sfiorare…Dio.
C’era chi era seduto per terra, chi stravaccato sul letto, chi seduto sulle sedie e chi “rocolàva con la tosa” nella penombra.
Nella stanza piena di fumo e di musica c’era un’atmosfera rilassata, stavamo viaggiando sulle onde della musica, di qualche birra e forse qualcuno con un po’ “di fumo”... quando la vacca nella stalla cominciò a “burlare”.
Burlava così forte che presto coprì anche la musica e per completare il coro si aggiunse il gallo e la “cavra” che prese a “sberegàre”.
Mi sembrò subito di essere nella vecchia fattoria con gli animali che rispondevano in coro come nella canzone.
Io credo che arrossii come una lampadina da cento candele, anche se i miei amici cercarono di minimizzare. Mia madre che forse aveva sentito il trambusto e il rumore degli animali in quell’ora tarda, scese in “sata” e in vestaglia che sembrava un fantasma. Aprì di colpo la porta della mia stanza senza dire nulla e con uno sguardo che sembrava una scarica di mitragliatrice perlustrò l’interno. Mi gelò il sangue nelle vene!
Mamma mia che figura “porca” che feci davanti ai miei amici!
Poi, senza dire nulla di più che non avesse detto lo sguardo, richiuse la porta con una botta che poco mancò non cadessero giù i vetri della finestra.
Chi stava in paradiso perso nei suoi viaggi discese in fretta, chi era assorto nella musica e nei suoi pensieri rinvenne subito e chi era preso dai fremiti d’amore si staccò “de paca” dall’amato bene. Dalla stalla non cessavano gli schiamazzi, i “burli” della vacca parevano “cojonàrmi” ed il gallo cantava che pareva annunciare il tradimento di Pietro, tanto era strano il suo verso.
Apparve come un fantasma anche mio padre mezzo “insonacià”; lo vidi che “spiava” dalla finestra.
Si “sfregolò” gli occhi, poi si grattò la testa sconsolato, ma non disse nulla e non aprì la porta.
Chissà i Miei...cosa immaginavano che facessimo in quel posto!
Mi sa che in cuor loro, si pentirono amaramente di avermi fatto quella stanza dabbasso.
Certo giocava su tutto il carattere scontroso di mia madre; avvilita e “spaurà” nel vedere che mi allontanavo dal suo mondo fatto di timor di Dio, di timidezza, di preghiere e di ritrosia.
Forse era anche gelosa di me, cercava di trattenermi come poteva vicino a sè, ma io come una barca mi allontanavo, giorno dopo giorno, da quel porto che lei riteneva sicuro al riparo da tempeste e fortunali.
Io quel passaggio della vita lo vissi con grande disagio, attratto dalla libertà che avevo davanti e che intravedevo confusamente, ma ero legato in maniera forte ai valori e alla vecchia realtà che però con grande determinazione volevo abbandonare.
Non ne potevo più di “schiti”, di “luamàri, di “punàri”, rosari e raccomandazioni.
Era difficile lasciare alle spalle gli anni che mi avevano segnato, che certamente avevano influito sui miei interessi e sul carattere.
Ora avevo in mente gli amici, la musica, la scuola e qualche ragazza cominciava ad attirare i miei pensieri.
Il mio sogno era quello di poter avere una ragazza che mi volesse bene a cui voler bene, portarla nella mia stanzetta ad ascoltare la musica e a parlare, ma mi bloccava il pensiero di mia madre e di quella casa mal messa che poco aveva di ospitale specialmente con quella stalla e quel cesso malmesso piantato nell’angolo dell’orto che per me aveva l’effetto di una spina piantato sulle mie carni.
L’idea che i miei amici, per andare a fare i loro bisogni, dovessero andare in quel posto decrepito o in stalla mi era un pugno nello stomaco.
Una domenica vennero da Schio in autostop delle ragazze a trovare gli amici che avevano nel mio paese. Erano due della compagnia, se così si poteva dire: stesse idee, solito abbigliamento, uguale profumo indiano.
Bastava questo per essere considerate compagne di idee e sorelle di intenti.
Nel tardo pomeriggio come spesso accadeva, si presentarono a casa mia in compagnia di altri ragazzi del paese e non.
Mia madre quando arrivarono a piedi giù per la discesa, osservava la scena dall’alto della finestra della cucina facendo finta di cucire, ma chiaramente non le era sfuggito nulla.
Sapendo la pasta della donna certamente non le andavano bene queste visite strane che potevano secondo lei portarmi sulla brutta strada.
“Sta tento che no te vai a insinganàrte con qualche poco de bon” mi ripeteva spesso, alludendo al fatto che le ”poco de bon” erano “quelle con la minigonna”, con le unghie laccate e con la lingua sciolta.
Se poi vedeva una ragazza che fumava…era il massimo della scostumatezza.
“Varda se le par bon co la sigaretta in boca, peso dei òmini” ripeteva brontolando rivolgendosi non si capiva bene a chi, certamente cercando di farmi capire che da quelle donne dovevo stare distante.
“Quelle”, per lei, non avevano nome proprio o generico; erano solo dei “sanbèi da ròcolo” se andava bene, delle “trojòne” se si metteva male. Poi se fossero state da Cogollo “apriti cielo”…questioni di campanile chissà da dove ereditate.
Se avesse saputo che mi ero “immagà drio” a una da Cogollo con i capelli rossi e le “còtole curte” che vedevo sulla corriera quando andavo a scuola…Maria Vergine “la me tegnéa a casa”...
Quella sera, tutto scorse tranquillo per un po’, ascoltammo musica, parlammo, bevemmo qualcosa…, ma quando una delle due...mi chiese di andare al bagno, sentii come una fucilata nella testa e con la morte nel cuore dovetti indicare a lei la strada della stalla e più esattamente il “socàle”.
Finse indifferenza, fece qualche apprezzamento agli animali, forse per non aggravare il mio imbarazzo che aveva dipinto il mio viso di un rosso “inbrasà”. Comunque si accomodò dopo aver rinchiuso dietro di sé la porta malmessa della stalla. Io tornai nella stanza in compagnia degli altri facendo finta di niente. Mia madre che verso le sei andava a chiudere a chiave i locali del pianterreno per la notte, quando aprì la porta per controllare le bestie, trovò la ragazza “culo busòn” sul “socàle”. Al che, senza dire niente, come "impietrìa" rinchiuse la porta a chiave e serrò dentro la sventurata. Questa, riavutasi dopo la sorpresa, che non fu poca, cominciò a battere su per la porta e a chiamare aiuto.
Fu una scena che dire pietosa è dir poco, una vergogna così grande che non ho mai più provato.
In qualche modo riuscii a recuperare la chiave e a liberare la poveretta, che trovai in lacrime.
Mi fece molta pena, ma mi facevo più “pecà” da me stesso.
Non poteva essere che dovessi arrivare a quelle umiliazioni per poter vivere quel po’ di libertà.
Non riuscivo ad accettare quei tormenti e quelle angherie... era dura... come la scorza di mia madre .
Un’altra volta una ragazza di Chiuppano si presentò davanti alla mia porta sul tardi. Bussò ed io un po’ allarmato aprii.
Questa ragazza a cui io ispiravo qualche simpatia e forse anche qualcosa di più, ma a me non è che dicesse tanto, mi disse se la potevo ospitare per la notte perché era scappata di casa.
Scappare da casa in quegli anni era un altro sport a cui alcuni di noi si dedicavano, la giustificazione era: per cercare se stessi.
In realtà chi ne aveva il coraggio scappava da situazioni strette, da conflitti con i genitori, da una situazione conflittuale che diventava a volte insostenibile.
Non me la sentii di dirle di no, anche se la sapevo un po’ pazzerella, ma sapevo anche, che questo costituiva un pericolo, nel senso che se ci avesse scoperti il mio “angelo” di ferro del piano di sopra: “ piovéa parole a sécie roverse”.
Per di più mio padre lavorava in turno di notte e tornava a casa stralunato verso le cinque e mezza della mattina tante volte “urtando“ la vecchia “Ducati” che non dava segno di vita specie la mattina presto.
Se si fosse per caso sognato di bussare alla porta o avesse visto qualcosa, anche con lui non andava meglio.
Dunque accolsi la richiesta, con grande preoccupazione, cercando però di non darlo a vedere, con la condizione che non più tardi delle cinque doveva lasciare assolutamente senza indugi la stanza.
Quella sera la passammo a parlare e lei cercava di farmi capire che non le ero indifferente, ma io ero poco propenso e troppo timido per storie; ascoltammo anche qualche brano di musica poi, prima che il sonno ci vincesse si infilò in un sacco a pelo sistemato per terra per dormire.
A dire il vero il sonno vinse solo la compagna di quella notte, che ad un certo punto si mise anche a russare, io invece sentivo tutti i rintocchi del campanile che ogni mezzora suonava.
Sentii battere l'una , l'una e trenta, le due, le due e trenta…
Dio volle che vennero le cinque, svegliai un po’ rudemente l’amica che dormiva e senza tanti convenevoli la accompagnai alla porta.
Sembravamo due automi pieni di sonno ed io di paura; fuori l’alba cominciava a schiarire il cielo e la mia amica infilò il sentiero dietro a casa mia che portava verso la ex ferrovia.
Si incamminò per i campi e mio padre giunse a casa, senza vedere nulla di quelle manovre.
I miei amici il giorno dopo, quando seppero la storia di quella notte, mi “cojonàrono” anche, perché secondo loro avevo mancato un’occasione. Che occasione avessi mancato lo sapevano solo loro, ma a me poco importava di cercare delle avventure.
In tempo di amore libero, avrei dovuto secondo loro abbandonarmi a qualche avances così chiedeva quel codice non scritto che mischiava il vecchio cliché dell’uomo che doveva osare ai venti nuovi della rivoluzione sessuale che rendeva le cose sotto una luce diversa.
Io invece ero ancora troppo immerso nella mia timidezza e in quel concetto quasi angelico che avevo della donna.
D’altra parte tra mia madre che era una specie di monaca di clausura con le sue prediche e raccomandazioni, don “Gusso” che era fustigatore di costumi, le suore… Certo non potevo avere una visione leggiadra o perlomeno normale dei rapporti con l’altro sesso.
Col tempo la stanza divenne sempre di più il mio posto tranquillo, il mio buen retiro. Giunsi a tenervi all’interno un serpente che avevo catturato sui campi, una bella “anda” che si muoveva su pavimento e si attorcigliava sui raggi delle ruote che sostenevano il letto. A quest'altra provocazione, mia madre rinunciò di riassettarmi la stanza, perché un giorno senza sapere nulla si era trovato il rettile tra le gambe. Cacciò un “burlo” che pareva la mucca della stalla accanto quando era in vena di farsi sentire.
Per lei quel mondo che ormai vedeva solo dalla finestra era uno strano universo che non riusciva più a comprendere e che si allontanava sempre più.
Purtroppo dentro c’ero io il suo unico figlio che avrebbe difeso volentieri con ogni mezzo dalle insidie esterne.
Per lei le insidie erano le brutte compagnie e le ragazze “desbuelà”, la musica che faceva spauràre le bestie in stalla …
Fece benedire anche la stanza, sperando che il divino rimettesse in ordine le cose, ma ormai io stavo diventando grande e non potevo tornare indietro.

Maurizio Boschiero

domenica 15 luglio 2012

Lezioni di volo



Piazzetta dei Checa - 
mercoledì  17 agosto 2011
 LEZIONI DI VOLO
“Pericolo in agguato, all’imbrunire…”
Era un tranquillo e assolato pomeriggio estivo: niente rumori nell’aria, una quiete tipica dei pomeriggi afosi, ma nella piazzetta dei Checa a San Pietro Valdastico tutta quella pace era destinata a durare poco. Sotto alle “stelarésse” un  nido era in bella vista e al suo interno un pigolio continuo faceva capire che era abitato da piccoli uccelli ormai pronti per il volo. La loro mamma, una bella "sisìla" era indaffarata a cercar cibo e, di tanto in tanto, arrivava al nido e riempiva quelle piccole bocche sempre piene di fame. Erano quattro uccellini che non avevano ancora tutte le piume, ma di lì a poco, sarebbero stati completi come i genitori. Si avvicinava il momento del primo volo: era una prova difficile e, guardando verso il basso, i quattro fratellini si spaventarono molto per l’altezza e non avevano certo il coraggio di provare a volare: aspettavano le lezioni di volo che avrebbero ricevuto e intanto rimanevano tranquilli al sicuro dentro al loro nido, accuditi dai loro genitori; Ma non sapevano che quello era il pomeriggio della loro prima prova e, mentre nella piazzetta vicina il vociare dei bimbi riempiva l’aria, iniziò per loro il primo volo. Al richiamo della mamma che volava in cerchio lì intorno, con un po’ di paura e di titubanza, uno alla volta gli uccellini si gettarono in picchiata giù dal nido: l’impatto con il vuoto fece battere più forte i loro piccoli cuori, ma quando cominciarono a sbattere le ali, prima un po’ timidamente, poi con un battito più ritmato, assaporarono la gioia di volare! Sbattevano le ali, cinguettavano felici mentre la loro mamma li teneva sotto controllo: i pericoli per loro erano tanti! Poi, ad uno ad uno, fecero ritorno al nido e si raccontarono quello che avevano provato in quella nuova esperienza. Si rilanciarono poi nel vuoto e, sbattendo le ali salirono più sù, in alto dove si godeva di un magnifico paesaggio: si sentivano padroni del cielo, impararono a lasciarsi trasportare dalle correnti d’aria, si divertivano a fare picchiate e poi a risalire veloci. Questi loro giochi duravano poco: dovevano tornare ripetutamente al nido per riposare un po’, riprendere fiato e forze perché non erano allenati, ma, di lì a pochi giorni, sarebbe stato tutto diverso…allora sì che si sarebbero divertiti moltissimo! La loro mamma aveva più volte spiegato loro quali erano i pericoli  a cui sarebbero andati incontro: prima di tutto il cadere dal nido avrebbe certamente voluto dire morte sicura e poi, una volta iniziato a volare, dovevano guardarsi dai gatti, astuti felini che cercavano di continuo di catturare i piccoli volatili. Il gatto? Ma poi cos’era un gatto? Mah! Per il momento tutto era tranquillo e i quattro fratellini si assopirono stanchi di quei primi, interessanti e faticosi allenamenti. Si risvegliarono pieni di fame e la loro mamma non era con loro: si misero a pigolare tutti insieme  e di lì a poco ecco arrivare il cibo! Aprirono i becchi  mentre la mamma depositava nelle loro grandi bocche piccole mosche o vermetti che erano una vera delizia! Ora erano pronti per ricominciare a volare negli spazi del cielo azzurro e uno alla volta spiccarono il volo con più sicurezza, con più gioia e senza nessuna paura. Che bello librarsi nel cielo, rasentare i tetti, sfiorare i muri, incontrare altri uccelli, cinguettare felici! Così tra una picchiata e un volo planare, non si accorsero che stava arrivando l’imbrunire e che, uno ad uno, tutti gli uccelli erano spariti. Sentivano i richiami della loro mamma e si affrettarono a tornare al nido seguendo quei sicuri richiami. Solo uno di loro si attardò: aveva visto una mosca appoggiata su di un fiore, più in basso ed era deciso a cominciare a procurarsi da solo il cibo: mamma ne sarebbe stata contenta! Volò dolcemente in basso e si trovò quasi raso terra dove scorse delle briciole appena cadute da una tovaglia…mmmm... Che bontà! Molto meglio dei vermi o delle mosche! Questo era sicuramente un cibo migliore! Stava beccando tutto contento, quando da dietro un vaso di fiori, apparvero due occhi gialli, poi dei grandi baffi e quattro zampe che si muovevano lentamente verso di lui…Che strano animale! Che sia un nuovo amico? L’uccellino restò fermo ad aspettare, sbatté le alucce in segno di saluto, ma il grosso animale rimase fermo, immobile, con lo sguardo fisso su di lui… Forse non era un amico, pensò l’uccellino e cominciò a sentire un po’ di paura e il suo piccolo cuore cominciò a battere forte, forte… pensava al sicuro del suo nido, ai suoi fratellini, alla sua mamma! Ad un tratto un sibilo si sparse nel silenzio e un continuo volare, un forte garrire riempì l’aria...Il piccolo non capiva più nulla, ma vide che la sua mamma, insieme ad altri uccelli cercava di spaventare quel misterioso animale che non aveva certo buone intenzioni!  Intanto, il gatto cercava di allontanare con veloci zampate tutti gli uccelli, cercava di tenere d’occhio il piccolo e di proteggersi dalle beccate che arrivavano sulla sua testa, sulla coda, su tutto il corpo. Era una lotta a cui non era abituato a cui era difficile poterne uscire vincitori e se aggiungiamo che in quel mentre una donna, armata di scopa uscì dalla porta di una casa e si mise a urlare come una matta per spaventare l’animale...vista la mal parata, il gatto decise di darsela a gambe levate e di cercare altrove qualcosa da cacciare! L’uccellino tremante si guardò intorno …l’aveva scampata bella! Guardò con aria supplichevole la signora che lo aveva preso in mano e lo stava accarezzando, cosa sarebbe successo ancora? Ma la donna, dopo averlo rassicurato con dolci parole, lo appoggiò sul davanzale di una finestra un po’ più in alto ed entrò in casa sapendo che così facendo, la mamma sarebbe presto venuta a riprenderlo. Accadde proprio così, quando la pace tornò nella piazzetta, mamma sisìla, si avvicinò al piccolo e lo rassicurò così che potesse riprendere il volo e tornare al nido. Lo aspettavano trepidanti i fratellini che al suo arrivo pigolarono forte e sbatterono le alucce dalla felicità.  Ora, al sicuro del nido, il piccolo pensò alle avventure che aveva vissuto, capì quanti erano i pericoli per lui e per i suoi simili ; ringraziò l’intervento della mamma e della signora che lo avevano salvato da una fine sicura. Era tutto passato, la paura svanita, il tremore non c’era più , il piccolo chiuse gli occhietti e sentì il caldo tepore del nido, la vicinanza dei fratelli e le dolci coccole della mamma….si addormentò cullato dai rumori della notte e pensò che l’indomani sarebbe stato un altro giorno pieno di voli e d’avventure meravigliose!
                                                                   Lucia Marangoni

sabato 14 luglio 2012

Galleria immagini - Faméje de na volta

Spagnolo Emilia con le figlie Nerina ed Ermelinda Lorenzi


Toldo Elisa - Toldo Piero - Toldo Giovanni - Toldo Maria - Toldo Onesta - Bonifaci Antonio - Toldo Giuseppe - Pierotto Carolina - Bonifaci Onesta -

giovedì 12 luglio 2012

Galleria immagini - davanti la Canonica

Siamo davanti alla Canonica di San Pietro. Tutti uomini, solo tre donne, che forse servivano qualche banchetto. Qualcuno sa dirci di che evento s'è trattato?
Anche riguardo a questa foto, chiediamo se qualcuno ci può fornire informazioni

lunedì 9 luglio 2012

Galleria immagini - Sacerdoti

Don Romeo - Don Diego - Don Fernando - Don Emilio - Don Ruggero - Don Francesco - Don Tarcisio - Don Giovanni - Don Giuseppe e gli altri 2?

venerdì 6 luglio 2012

Galleria immagini - comunione classe 1942 - 43

Lucca Virgilio - Lorenzi Claudio - Lorenzi Mario - Toldo Gerardino - Spagnolo Maurizio - Lucca Sabina - Fontana Orietta - Toldo Luisanna - Slaviero Marisa - Slaviero Olimpia - Toldo Giovanna - Carraro Maria Pia -

giovedì 5 luglio 2012

L'alba dei miei ricordi 1)


Floriana ha 9 mesi. E' la prima volta che arriva al Maso Stefani




Floriana ha 2 anni e per la prima volta scopre il Gorgo




Floriana ai Lucca: senza scarpe...che sia stata in castigo? Una volta facevano così perchè stessimo a casa...





Floriana alle Grappe



Floriana centaura


Floriana con la Mamma la Nonna e la Zia




Dal Gorgo per Te con affetto


@@@@@@@@@
@@@@@@@
@@@@@
@@@
@







L'alba dei miei ricordi...
(by Floriana da Borghetto Lodigiano)
1° - puntata-







Ancora oggi, che galoppo veloce verso l'inverno della mia vita, amo moltissimo tutto ciò che la natura mi può offrire, credo che ciò sia dovuto alla mia infanzia trascorsa a San Pietro, magico Paese della Valdastico! Sono di nuovo piccolina e mi sveglio nella notte perchè in lontananza sento un canto................VOLA COLOMBA BIANCA VOLA........................il canto si avvicina sempre di più, mi affaccio alla finestra e sento il rumore dei passi sulla strada, riesco appena ad intravedere un gruppo di persone che di buon passo salgono verso la Contrà Lucca, le voci si allontanano,io rimango ancora un po’ alla finestra ad ascoltare il canto degli uccelli notturni poi torno a dormire con la voglia di seguire quegli uomini e quelle donne che salgono la montagna sino ai boschi in cima alla Singéla. La luce mi sveglia, è già mattina, guardo dalla solita finestra  e vedo le 3 cime della montagna di fronte illuminate dal sole: ma allora è tardi! Infatti quella montagna per me è come un orologio: se la montagna è in ombra sono le 7, ma se il sole la illumina più sotto delle cime possono essere anche le 10. Bisogna muoversi; una bella tazza di latte e caffè moro e poi via… in giro per tutta la mattina. Corro subito ai Lucca perché  ho sete e in casa mia non mi lasciano bere altrimenti rischio un’indigestione. Al lavatoio vedo la sorella di mia nonna (zia Santa) che sapendolo, mi manda  in casa dove zia Marianna  mi prepara subito "àcua vin e sùcaro"- Così ristorata ora posso saltare e correre per tutta la contrà in cerca delle mie amiche. Infatti compare subito la Gelinda con le caprette da portare al pascolo e per un pezzo la seguo anch’io,  ma poi ritorno sui miei passi  e vado a chiamare la Giuliana, gioco un po’ con lei e poi di nuovo via…Ho sentito la voce dell’Annamaria e siccome sono curiosa e irrequieta devo andare a vedere che cosa succede; non ancora appagata faccio visita ai conigli, mi piace sollevarli per le orecchie e guardare il loro musetto che si muove come se masticassero l'aria. In un attimo è già mezzogiorno e per tutta la contrà si sente il profumo della polenta e la voce di mia madre
che dal Maso Stefani mi chiama. Torno a casa di corsa, mi aspettano le tagliatelle al pomodoro fatte a mano da mia nonna, pranziamo all'aperto sul tavolino di legno. Ora però  devo fingere di dormire un po’,  ma appena possibile via verso nuove avventure….., ma prima devo rendermi utile. Sono già pronti i secchi e mia madre urla: muoviti… ci serve l'acqua! E allora giù per il sentierino stretto che porta ai
Pertile,  attraverso il prato e mentre mia madre fa il bucato al lavatoio io faccio avanti e indietro per rifornire le nostre scorte, ma ora sono libera!!!  Con la scusa di andare a ciclamini e nocciole imbocco il sentierino dietro casa, una bella mangiata di more di gelso direttamente dalla pianta e mi incammino verso la VALLE ARTIFICIALE, la supero e arrivo quasi in piazza. Faccio un saltino a salutare zia Maddalena e con Francesco e Guido ci piazziamo in mezzo alla strada a tormentare LORETO (un bel pappagallo colorato che risponde di gusto  alle nostre stimolazioni )… per poco però …perchè escono delle donne che infuriate ci gridano: VALA’…VALA' A CASA TUA... SBECALONA…  Sulla via del ritorno un salutino anche a zio Toni e zia Sofia, mi siedo vicino al banchetto da scarpàroed osservo la lavorazione del coràme …annuso l'odore forte del mastice e comincio a toccare tutti gli oggetti (martelli, pinze, chiodi e aghi per cucire le suole). Prima di combinare guai mi alzo, saluto e corro a casa con l'intenzione di arrivare veloce, ma mi fermo ancora per chiacchierare con la Seconda. Intanto mia madre, che oramai sente la mia voce, inizia ad urlare: DOVE SEI STATA FINO ADESSO!!! Per fare più presto mi arrampico sulla masiéra… passo sotto il filo spinato e raggiungo la casa attraverso il prato. Oramai il sole sta tramontando e le cornacchie sopra le rocce fanno un baccano bestiale….........
vuoi vedere che domani piove?




(Come sono strani a volte i casi della vita: pensate che il famoso pappagallo Loreto...che menziona nel racconto Floriana...apparteneva ai miei Nonni. Era stato regalato loro da parenti di Cogollo di mia Nonna ed è arrivato che già sapeva un sacco di parolacce che rivolgeva ai passanti...era la delizia e la croce dei miei Nonni che spesso andavano incontro anche a dispiaceri. Ricordo che mi raccontavano che ce l'aveva principalmente con la nonna di Amelio...(la Pértela) la quale assolutamente non lo sopportava...Il finale: i miei Nonni han dovuto riportarlo a Cogollo per salvaguardare i rapporti di buon vicinato...)       "Carla" 








Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...