lunedì 30 aprile 2012

30 Aprile - eccidio a Pedescala


30 aprile 1945: 
una data da non dimenticare





     C’è un piccolo Paese, in una verde valle, che ha subìto un cambiamento radicale dal giorno in cui si è compiuto un tragico eccidio. 
Pedescala, con Forni e Settecà, sono dei piccoli paesetti che con un totale di 64 vittime hanno pagato con il sangue  un prezzo troppo alto per qualcosa che non si è capito allora e non si comprende chiaramente nemmeno oggi, a distanza di 67 anni. 




Soltanto cinque giorni prima, il 25 aprile 1945, era stato dichiarato che la guerra era finita e si iniziava a respirare un’aria di pace, dove la vita, lentamente, sarebbe ritornata a trascorrere con i soliti ritmi. Invece, in poche ore, il corso della storia è cambiato: bambini, ragazzi, uomini, donne e vecchi, hanno subìto una morte ingiusta e crudele. Strappati  ai propri cari e gettati nelle case in fiamme; la furia umana si è abbattuta senza pietà su quella popolazione, togliendo, oltre alla vita di tante persone  innocenti, anche quel poco che c’era.  Questo eccidio ha sconvolto i superstiti, tanto che alcune persone scampate al disastro, per tutta la loro esistenza, hanno continuato ad avere incubi terribili, rivivendo quelle giornate. Generazioni annientate: molti i ragazzi e i padri ancora giovani, che con la loro morte hanno segnato il declino di un paese  che a quei tempi contava tanti abitanti. Il segno che è rimasto dentro alle persone è quel muto dolore, l’angoscia, l’incomprensione, lo sgomento, la rabbia per quello che ingiustamente avevano subìto e per quello che tutto questo avrebbe portato alle generazioni future. Credo che ogni famiglia che ha avuto dei morti, meriti tutta la comprensione e il rispetto: si può capire  la continua e lecita ricerca della verità e della giustizia, ma qualsiasi verità non può riportare in vita nessuno… I racconti degli scampati sono tanti, ognuno a suo modo ha vissuto questa tragedia e ha dato testimonianza, altri hanno conservato nel cuore una ferita mai rimarginata, un dolore silenzioso e difficile da capire. Divisioni tra la gente del paese, tra famiglie di partigiani e non, ulteriori divisioni più accentuate anche dalle generazioni  successive per una medaglia al valor partigiano che non ci stava proprio: è stato un vero e proprio segno di poco rispetto… Tutto questo dovrebbe far riflettere: un ricordo, una preghiera, un fiore per chi è stato barbaramente ucciso, ma anche la coscienza di ricordare per non ripetere gli sbagli. Il fatto è che l’uomo, con la sua grande intelligenza, riesce a compiere stragi, a rovinare per sempre esistenze, a far cambiare il corso della vita. L’uomo, con tutte le sue capacità, ancor oggi riesce a ripetere azioni talmente assurde che non si può comprenderne la natura umana. Se tutti fossimo portatori di pace, forse tante guerre non esisterebbero più, forse potremo essere fieri di noi stessi e di come saremo capaci di dare il nostro piccolo contributo per migliorare un mondo che non riesce a trovare la pace. Forse è un sogno irrealizzabile, ma io non cesso di sognare …
In questo giorno particolare, solo silenzio, preghiera, ricordo come mi ha insegnato mio padre che ha vissuto quei terribili giorni; niente rabbia, odio, cattiveria, ma consapevolezza che la morte e la distruzione è già abbastanza senza dover aggiungere altro …
                                                                              Lucia Marangoni

domenica 29 aprile 2012

venerdì 27 aprile 2012

Preghiera della terza età


Signore insegnami ad invecchiare. 
Convincimi che la Comunità non compie alcun torto verso di me se mi va esonerando da responsabilità, se non mi chiede più pareri, se ha indicato altri a subentrare al mio posto.

Togli da me l’orgoglio dell’esperienza fatta e il senso della mia indispensabilità.

Che io colga, in questo graduale distacco dalle cose, unicamente la legge dei tempi e avverta in questo avvicendamento di compiti una delle espressioni più interessanti della vita che si rinnova sotto l’impulso della Tua provvidenza.

Fà o Signore, che riesca ancora ad essere utile al mondo, contribuendo con l’ottimismo e con la preghiera alla gioia e al coraggio di chi è di turno nelle responsabilità, vivendo uno stile di contatto umile e sereno con il mondo in trasformazione senza rimpianti sul passato, facendo delle mie sofferenze umane un dono di riparazione sociale.

Che la mia uscita dal campo d’azione sia semplice e naturale come un felice tramonto del Sole.

giovedì 26 aprile 2012

Abitudini alimentari


Per conoscere le abitudini alimentari dei nostri Nonni e Bisnonni è necessario sapere il tipo di coltivazioni e di allevamento allora praticati, tenendo anche presente che le erbe spontanee dovevano integrare la dieta certo molto più di oggi. Non solo: rispetto ad oggi erano sicuramente minori le quantità di cibo acquistate e rari gli alimenti importati da paesi lontani.

     Sul nostro territorio erano ben diffuse numerose specie di cereali: frumento, orzo, avena, ségale e il mais, utilizzato quest’ultimo, come ben si sa,  per la famosa polenta, piatto principe di quei tempi.
Altresì molto diffusa era la coltivazione della patata e dei fagioli, nonché della vite: (uva americana, nostrana, clinto e tordéla) che offriva un vino modesto, ma comunque apprezzato.
Ricordo anche  el vin pìcolo ottenuto dalle graspe con l’aggiunta di un po’ d’uva clinto. E chi si può dimenticare el vin dólse…  che per noi bambini, ma non solo,  era semplicemente sublime. Nel berlo, ci sentivamo “grandi” pure noi…
     Negli orti e nei campi, oltre alla patata e ai fagioli si coltivava un po’ di tutto, come ai nostri giorni: tegoline, scalogni, zucchine, zucche, sedano, carote, prezzemolo, verze, cappucci, insalata, radicchio ecc…, mentre prodotti come: pomodori, melanzane, peperoni, cavolfiori si iniziarono a coltivare solo molto più tardi e comunque dopo l’ultima guerra.
 Allo stato selvatico c’erano i pissacàn o petabróde (tarassaco), i spundignùi (spugnole), i spàrese (asparagi), i bruscàndoli (germogli del luppolo selvatico), le erbette e grandi quantità di funghi in montagna. I fagioli si prestavano ad una comoda conservazione, tramite essicazione. Venivano sparsi sul solaio di una stanza asciutta e quando erano pronti per essere sgranati anche noi bambini davamo il nostro contributo tutti contenti. Solitamente era un impegno durante i vari filò…   L’unica verdura conservabile d’inverno erano i capùssi: con un’apposita macchinetta li tagliavano finemente e li riponevano in un mestélo de legno e a strati li cospargevano solo con sale, alloro, ginepro e poi li coprivano con un coperchio. Emanavano una tal puzza nella stanza…ma si veniva ripagati poi dal risultato! Il prodotto finale erano i gustosi crauti, verdura fondamentale nella dieta, anche per l’alto contenuto di vitamina C.
     La frutta era abbondante: oltre all’uva, pere, prugne, àmboli, còrnole,  fichi, noci, nocciole, pesche, ciliegie, more di rovo e di gelso, rare le mele e in montagna si trovavano: lamponi, mirtilli, fragoline. Il problema era la conservazione. La frutta più resistente  nel tempo erano le pere d’inverno, le noci, le nocciole e l’uva che veniva appesa a delle corde in una stanza, mentre l’altra frutta doveva esser consumata in breve tempo. Erano poche le famiglie che si potevano permettere le marmellate, a causa dell’alto costo dello zucchero. In bottega, chi aveva la possibilità, acquistava anche qualche altro tipo di frutta, ma quella più “abbordabile” erano le caróbe (carrube), le stracaganàsse (castagne secche) e il castagnaccio.
     La colazione consisteva in polenta e latte, più raramente pane e latte o caffelatte.
Per quanto riguarda i primi piatti troviamo il minestrone, le minestre, fatte con i prodotti degli orti, con l’aggiunta spesso de na scódega e de na grósta de formàjola panà, le móse, i gnochi, i gnochi col guciàro, riso, la pastasciutta,  sia fatta in casa, tipo tagliatelle o bìgoli col torcio, che acquistata in bottega.
     Come secondi piatti: pollame, conigli, maiale, uova, formaggi (chi non si ricorda la scórsa ben grattà e sponcià in sima al pierón podà sule brónse? La carne era annoverata fra i “lussi” ed era abbordabile per pochi eletti o quando si era ammalati o deperiti. Come pesce troviamo el bacalà, el scopetón, le sardéle, i marsùni (ghiozzi) e le trote. Come piatti alternativi: rane, chiocciole, selvaggina, trippe, coradéla, rognoni, animelle e  sanguetta (sanguinaccio) del mas-cio.
     Il caffè era un lusso e ci si poteva permettere solo “un’imitazione” che era quello con miscela di orzo, cicoria e ségale che si abbrustolivano con el brusìn (la bala) sul fogolàre. (chi non si ricorda quel misterioso attrezzo fatto a tenaglia con le due semipalle in cima?)    
Il dolce era la fugàssa de pan vécio fatta col late de bùrcio…
Qualche famiglia si permetteva anche la grappa, ma solo perché s’ingegnava a farla in casa con le graspe.
Anche l’umile pezzo di  pane era dosato con parsimonia.
     I “conservanti” di un tempo consistevano principalmente in sale e aceto. Il primo lo si acquistava dal tabaccaio, il secondo lo si faceva in casa con qualche bottiglia di vino andata a male.
Invece per la conservazione degli insaccati del maiale si acquistava in farmacia una polverina di salnitro.
     I condimenti consistevano in burro, lardo, strutto e olio di semi.
     I ritmi dell’alimentazione quotidiana non erano sempre gli stessi; la séna, ad esempio, si consumava anticipatamente nella stagione fredda, di solito verso le 17, subito dopo la conclusione dei lavori nella stalla, mentre nella stagione estiva veniva posticipata, specialmente nei giorni critici del taglio del fieno o della mietitura. Solitamente consisteva in minestre, uova, formaggi  o avanzi del pranzo.
     Il pranzo (disnàre) era invece più robusto: mai primo o secondo, bensì piatto unico: riso, pastasciutta, gnocchi oppure polenta, verdura e carne o pesce. Il profumo che emanavano le téce dei fasùi in umido e del conéjo de me Nóna Gusta me li ricordo ancora…

     Ci si recava in bottega a provédare  giusto  l’indispensabile e per acquistare prodotti come olio di semi, qualche tubetto di conserva, pasta, riso, spezie, raramente caffè e pane. Il sale invece lo si acquistava dal tabaccaio in quanto monopolio di stato.


     L’allevamento degli animali era molto condizionato dall’andamento stagionale e dalla disponibilità di cibo per nutrirli. Si faceva in modo che le mucche partorissero nel tardo autunno perché non erano in malga e in quel periodo si poteva così disporre di una maggiore quantità di latte.
L’uccisione del maiale era prevista solitamente prima di Natale, non solo perché con la stagione fredda il risultato dell’insaccatura riesce migliore, ma anche perché nei mesi precedenti avevano la disponibilità di molti più alimenti per poterlo ingrassare. (Ne riparleremo con argomento a parte.)
Sempre nel periodo invernale si provvedeva ad uccidere anche altri animali tipo: galline vecchie per brodo, polli, conigli ecc. che, non riuscendo a procacciarsi parte del cibo fra i campi, avrebbero dovuto essere alimentati attingendo alle provviste dei cereali di casa. Qualcuno di chi legge ricorda il profumo che emanava el caliéro dela pastà sula fornéla?
Per l’inverno si teneva un numero ridotto di galline e solo un galo da soménsa. Le nidiate di conigli si allevavano preferibilmente quando si disponeva di erba fresca per nutrirli.
Mi ricordo un particolare di mia Nonna riguardo ai conigli: per la “frollatura” gli inseriva un bachéto
all’interno per tenerlo bene aperto e lo appendeva ad un chiodo del balcone della cucina a pendolón e a vista per un paio di giorni. Sosteneva che risultasse più buono.
     Prima di addentrarci nel meraviglioso mondo della cucina della nostra zona, nonché vicentina e veneta, è d’obbligo una precisazione: Mentre per noi ora quelle ricette hanno il sapore di apprezzate rarità, di specialità…per i nostri Avi erano frutto del bisogno di utilizzare, nel modo che riuscisse più gradevole ed efficace, tutte le possibili risorse che la grande conoscenza del mondo naturale e il lavoro della terra offrivano, per sopperire ad una fame, solo di rado pienamente appagata.
     La miseria, la povertà, la fame di tante generazioni che ci hanno preceduto, non sono sicuramente da rimpiangere, però offrono spunti su cui riflettere…quantomeno sulla iper-alimentazione e sugli eccessivi sprechi dei nostri tempi…

     Tuttavia, quella semplicità dell’alimentazione del passato, è senza dubbio un valore da recuperare, assieme alla rigorosa stagionalità dei cibi, unico presupposto per nutrirci con alimenti più sani, perché meno intrisi di sostanze conservanti e soprattutto generosi dei loro sapori autentici.


( Carla e Irene )

mercoledì 25 aprile 2012

Una gita un po' speciale


Ambasciatrice della “Serenissima”:
la gondola del Veneto Club
di Melbourne


La gondola è senza dubbio il mezzo di trasporto più romantico. Non vi è coppia in viaggio di nozze a Venezia che non voglia una foto-ricordo a bordo di una gondola che scorre placida lungo i canali.
La gondola è diventata simbolo della città lagunare anche per i veneti nel mondo. È un legame con la storia e la cultura millenaria della loro terra, è il marchio inconfondibile della Serenissima. Anche Melbourne ha la sua gondola, dono dell’Associazione Veneto Australia al Veneto Club nell’elegante quartiere di Bulleen.
Melbourne, capitale dello Stato del Victoria, è forse la città più veneta, fuori dall’Italia. Qui l’emigrazione dalle provincie di Vicenza, Treviso, Verona e Padova, ma anche da Venezia, Rovigo e Belluno, è stata come un fiume in piena negli anni 50 e 60. Ai Veneti si deve la costruzione di strade e ponti, palazzi e grattacieli.
Sapore di Veneto è nei ristoranti della città, nelle chiese dove è presente ovunque la statua di sant’Antonio da Padova.
Al Veneto Club, ogni anno la Sagra di San Marco attira migliaia di persone.
Un fantasioso imprenditore ha creato un servizio di "gondola sul fiume Yarra", che attraversa la parte più caratteristica della città di Melbourne, un servizio per la gente comune e, in particolare, per i giovani sposi.
Poi è arrivato il progetto della "Gondola sul fiume Murray", titolo del libro e della fortunatissima serie televisiva dello chef Stefano De Pieri, d’origine trevigiana. Nel cuore della city il bar-ristorante “La Gondola” è un pittoresco locale molto frequentato
La gondola presso il Veneto Club si trova in un bacino d’acqua proprio all’ingresso della sede, ed è lì da quattro anni; infatti è stata inaugurata nel 2008 e dedicata allo scomparso presidente dell’Ente Vicentini nel Mondo, Pier Giorgio Cappellotto, che aveva proposto e sollecitato un dono di alto significato “veneto” per la nostra comunità. Erano convenuti in centinaia per assistere all’inaugurazione del “simbolo eterno delle genti venete che hanno solcato il mare” (dal messaggio del sindaco di Conegliano Veneto, città sede dell’Associazione Veneto Australia). Padre Vito Pegolo aveva letto una preghiera di supplica e di lode prima di benedirla, segno augurale di protezione divina. Non mancarono momenti di piacevole intrattenimento affidati al gruppo “Le Arti per Via”, di Bassano del Grappa, che coinvolsero il pubblico lungo i sentieri della memoria. Due carabinieri in alta uniforme hanno dato all’evento un tocco di patriottismo.
L’Associazione Veneto Australia, fondata il 29 novembre 2006 a Conegliano, in provincia di Treviso, è un gruppo dinamico che stabilisce un interscambio lungo varie direzioni.
Il dono della gondola è il più visibile e spettacolare atto di presenza dell’associazione, ma esiste anche un ricco programma di interventi e interscambi per valorizzare ciò che di meglio hanno le due entità geografiche e culturali (l’Australia è circa 25 volte più grande dell’Italia e 400 volte più grande del Veneto, ma per quanto riguarda la popolazione le cifre si avvicinano, con il Veneto che conta 4 milioni e mezzo di abitanti e l’Australia 21 milioni).

Germano Spagnolo

martedì 24 aprile 2012

Gita al lago di Garda -


...a quel tempo la meta delle nostre gite
era principalmente a Castelletto del Garda
dove c'era la casa Madre delle nostre Suore,
ma l'emozione che provavamo era pari
ad un viaggio transoceanico di oggi...




da sx: Superiora Francesca Spagnolo (sorella del M° Spagnolo) - Maura Sartori - Sandra Bonifaci - Carla Spagnolo - Rosanna Spagnolo - Bruna Lorenzi - Antonella Sella -

da sx 2° fila: Roberta Alessi - Claudia Lorenzi - Cinzia Slaviero - Gianna Gianesini - Miriam Righele -
Eleonora Sartori - Miriam Bonifaci - Rosanna Serafini - Sr. Quintina (scuola di lavoro)

da sx 3° fila: Lina Stefani - Ezia Toldo - M. Teresa Fontana - Lionella Lucca - Leonarda Sella - Marina Toldo -
Clara Spagnolo - Gianna Nicolussi -

da sx 4° fila: Sr. Carmina (cuoca) - Luigia Toldo - Oriana Toldo - Maria Toldo (Cicci) - Antonietta Toldo - Sr. Coronata - Patrizia Stefani - Elisabetta Lorenzi - Mirta Sartori - Donata Sella -

lunedì 23 aprile 2012

Gita dolomiti -


Si riconoscono:

Don Emilio Garbin
Giorgio Slaviero - 
Mario Lorenzi - 
Franco Mucchietto - 
Giannico Lucca - 
Eugenio Toldo - 
Valerio Toldo - 
Lorenzo Toldo - 
Mario Giacomelli - 
Pierantonio Slaviero - 
Attilio Sartori - 
Pietro Lucca -
Mario Pesavento
Antonio Righele

sabato 21 aprile 2012

Visita pastorale




Primi del 900.
Molto probabilmente si va incontro al Vescovo di Padova in Visita Pastorale.
Sul fondo della foto si intravede "un vòlto" ed è parte di una costruzione che esisteva a scavalco fra la piazzetta dell'Ara e la "Corte dei Betéi".
Al primo piano c'era la Scuola Elementare, mentre al secondo c'era l'abitazione del sarte Giacomo Lorenzi "Canéla", il Nonno materno di Silvio Eugenio Toldo.
Lo stabile è stato demolito durante la Strafexpedition del 1916. 



Foto e spiegazione
di Silvio Eugenio Toldo che ringraziamo.

venerdì 20 aprile 2012

I bronbùi




Péna drio ch'el cùco tacàva cantare, écoli chi’i rivàva anca ìli: i Bronbùi.
Alora li ciamavìmu ancora cussì; pì tardi gavarìssimu tacà a dirghe magiolìni, par no farse strapasàre dai Maestri.
Va a saére po' come ca i gavarìssimu ciamà sa ghìssimu conossesto el nome sientìfico latìn: melolontha melolontha. .. Mah!
Fatostà che a majo ìli tacàva a móverse e naltri a usmàre i profumi dela primavera nel’aria caldéta, le ganbe piturà da cuéi bei scarabìssi de pólvare e sudore, fora dale braghe finalmente curte. (Alora, fando el bagno intel mestélo solo al sabo, se vedéa i tatuaji naturali e anca la rùfa, fruto de tanti scorabiamìnti in volta pai prà).
Le jornàde se slongàva e i vecióti se postava dopo séna sule careghéte o sui scalini fora dale case a pipàre e contàrsela, le fémene a tricotàre e a dir do de tuti.
Eco lora anca naltri boce, finìo el Fioréto, stàvimu fora volentiera ala sera a zugàre. A cucóto, a scalón, a spussa alta e bassa e via discoréndo; cussì i grande pensava de ténderne.    Majinàrse!
Par naltri ogni stajón ghea el so dafàre ..e majo jéra pósta pai bronbùi.
Ghì da saére che i bronbùi tacàva móverse co nava do el sole, justo ponto quando che naltri snebelùni jérimu tuti parecià par la cacia granda fin tardi, …soto le poche luce de alora.
Bion dire che el bronbólo zé on bao insulso: vuto parvìa che l'è ciciòn, inbatunìo dala fréga o ingramegnà dal massa rosegàre de fóje, el se lassàva ciapàre fàssile, anca dai bocéte pì baùchi.
El fornimento par la cacia jera senplice, scatole, bussolóti, mejo se de véro e filo da cusìre tolto in préstio dala scatoléta dela mama (Cuela de legno coi scafìti pìini de gùce, gucìni, botùni, ùvi da calsa e rocùliti, che la se verdéva tirando pai màneghi).
El filo servéa par ligàrghe la satéla e paràrlo torno come on cagnéto, o par far le gare de corsa. O anca tentare de farlo zolàre confà on balonsìn. Ma jera pì le satéle che ne restava in man, de cuéle che tegnea bota.
Se no, rento intei bùssoli: chi che ghin ciapàva de pì el jera el canpión.
Lora se podéa sperimentar ben anca la vocassión entomologica: métarghe fastùghi de pàja su pal culo, farli noàre, negàre, brusàrli, cavàrghe le ale, sofegarli intei bussoli, …schissàrli.
Che lasarùni ca jerimu! Fusse desso na denuncia no ne la cavarìa nissùni, massima a cuii stravià che i gavarìa dovesto ténderne.  Ma alora jìrimu parte de cuéla Natura che no porta sventura.
E pensare che pì ecologici de naltri no ghe jera nissùn. Defàti i bronbùi zé bài nocivi par tute le piante dei campi e dei buschi, parvìa che da bigàto el stà intanà in te la téra a ruinàr le raìse e col jén grande el rósega tute le fóje chel cata.
On sfrassélo pai canpi! Pédo de Átila!
I grande lo saéa ben e i faséa finta de gnente. Alora comandava ancora la Téra e po' anca ìli jera sta bóce. Màssima i rivàva a criàrne solo par conpiacensa ai Maestri, che se magari ghe scrivìvimu in tei temi cossa ca fasìvimu coi magiolini, i ne gavarìa considerà póri sgalmarùni gnorante.
Co i jera tanti rento intel bùssolo i faséa on gran tanbaramento e i spussàva anca. Le toséte po’ le ghéa na fifa boja de tuto sto grovejo de baùni, che visti da vissìn i ghéa on gran bruto céfo, co cuéle séngie che somejàva restéi. ..Lora via a trargheli su pai caviji o do pal colo.
Rente casa a go na bela pianta (Stranvaesia davidiana) che la spàna justo in majo e sujto la s’inpiena de bronbùi. A go caro; anca se i rosega tuti i fiuri, manman i li inpolina e cussì po’ la fa on spettacolo de baléte rosse che dura tuto l’inverno, anca co va do le foje. Dal boschéto vissìn, el cuco no manca mai el so randevù co la béla stajon.  L’è furbo, el cuco! El li tende, parvia che élo el béca proprio i bigàti dei bronbùi. Ogni ano che passa senpre conpagno. Mancomale! Fin che riva cùco e bronbùi vol dire che la Natura no la se ga gnancóra stufà de naltri.
Gianni Spagnolo

giovedì 19 aprile 2012

Una piazza un po' strana -

In quel tempo i residenti erano tutti profughi
e quelli fotografati sono tutti austriaci...

la nostra piazza diventa "Platz" e la nostra Valle "Tal"...
e sarà perchè si desidera sempre quello che non si ha...
ma oggi come oggi
forse se circolassero ancora delle carrozze trainate da cavalli...
il Paese sarebbe un po' più colorito...

mercoledì 18 aprile 2012

Una stupenda lettera del padre per il figlio



Se un giorno mi vedrai vecchio:
se mi sporco quando mangio
e non riesco a vestirmi …
abbi pazienza,
ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo.

Se quando parlo con te
ripeto sempre le stesse cose …
non mi interrompere…
ascoltami,
quando eri piccolo
dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia,
finchè non ti addormentavi.

Quando non voglio lavarmi ,
non biasimarmi e non farmi vergognare …
ricordati quando dovevo correrti dietro
inventando delle scuse
perchè non volevi fare il bagno.

Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie,
dammi il tempo necessario
e non guardarmi con quel sorrisetto ironico …
ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’abc...


Quando ad un certo punto
non riesco a ricordare
o perdo il filo del discorso…
dammi il tempo necessario per ricordare
e se non ci riesco non ti innervosire …
la cosa più importante
non è quello che dico,
ma il mio bisogno di essere con te
ed averti lì che mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche
non mi consentono di tenere il tuo passo
non trattarmi come fossi un peso,
vieni verso di me con le tue mani
forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te
quando muovevi i tuoi primi passi.

Quando dico che vorrei essere morto…
non arrabbiarti,
un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo.
Cerca di capire che alla mia età
non si vive, si sopravvive.

Un giorno scoprirai
che nonostante i miei errori
ho sempre voluto il meglio per te
che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po’ del tuo tempo,
dammi un po’ della tua pazienza,
dammi una spalla
su cui poggiare la testa
allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te.

Aiutami a camminare,
aiutami a finire i miei giorni
con amore e pazienza
in cambio io ti darò un sorriso
e l’immenso amore
che ho sempre avuto per te.

Ti amo figlio mio

martedì 17 aprile 2012

Rasse nostràne



Vanti che i sparisse dal tuto, sarìa ben rancuràre i soranóme dele faméje de San Piero e métarli par scrito. In fondo zé sempre redità nostra, che la ne gà conpagnà par un bon tóco de strada.

No zé mia fàssile sahìo, dato che de soranóme ghi némo on destermìnio, ma bión distinguere cuìli de faméja da cuìli  fibià solo al cristiàn e che pò no i se tramanda.
(De cuìli semo drìo conpilare n’altra  lista, … lora ghe sarà anca da rìdare!).

Par desso fémo sù i soranùmi de faméja, cuìli che i zé passà anca ai fiùi, o che i serve (o mejo, i ga servésto) par distinguere le varie rame coi cognome conpagni drìo el secolo péna passà. La pì parte i zé doparà anca al plurale o al femminile, chìve parò li ghémo tegnù al singolare maschile par no incatijàrse massa.

Cualche soranóme el zé ben vecio e gnanca pì doparà, altri i zé pì conosìsti. Se capìsse che tórghe la volta dipende anca dal’età; chi che zé pì stajonà vutu che no i se ricorde de tuti e fursi de cualchedùn che chive no ghemo gnanca ciapà. I pì dóvane magari i ne conpatirà.

Lora zé l’ocasión bona par domandarve na man a far le robe pulìto e sensa desmentegàr nissùni.  
Vardè ben  de ociàre la lista e segnalarghe ala Redassión del Blog tute le dónte e le variassión che pensé che ghe vója.

Ste chiéti che qua resta tuto in faméja; no ghe disémo gnente a l’Erario, casomai ghissi paura che ghe salte el bào de tassare anca i soranùmi. Sperémo invésse che no ne lesa el Sindaco, …che no ghe vegne la pensata de picàrne su l’IMS (Imposta Municipale Soprannome).
A San Piero sarìa anca on sistema fàssile de tirar su schéi!




Riga
Cognome
Soranòme de Fameja (In neretto cuìli originari e/o i pì veci)
1
ALESSI
Camilòto, Magnéi.
2
BONIFACI
Bàisse, Cassógno, Marco, Narcisi.
3
DAL POZZO
Furlàni, (Fóler).
4
FONTANA
Fùcari, Canpanàro, Galo, Gioca, Otàvio, Pìci
5
GIACOMELLI
Mori
6
GIANESINI
Marióto, Garbàto, Chechìti, Francìsi.
7
LORENZI
Boràna, Canéla, Carnavàle, Mondini (Avocàti), Barón, Capo, Culàta, 
Marcantógno, Satéla.
8
LUCCA
Menónce, Boti, Belània, Carolìni, Danéla, Lighéta, Lijo, Mardemìn.
9
MUNARI
Morìti (Castégna), Pieretéla.
10
NICOLUSSI
Muz, Mistro, Galéno.
11
PESAVENTO
Crosàto, Bagarìa.
12
PIEROTTO
Gada, Barbéta, Conte.
13
PRETTO
Galìna, Scarpàro, Valente.
14
SARTORI
Menegànte, Bastòn, Minài, Pológno, Toto, Vico.
15
SELLA
Munàri, Segàti.
16
SERAFINI
Menegósto, Coa, Meneghéto.
17
SLAVIERO
Fodàto, Mosca, Toldùni.
18
SPAGNOLO
Paregìn, Nando, Daniele, Fabrélo, Ghìa, Lusso, Passéto.
19
STEFANI
Merlo, Merléto
20
TOLDO
Contesso, Godi, Màule, Pàmele (Gànbaro/Tépela), Redùlfi, Récia,  
Toldìn, Africàn, Betéle, Baga, Cana, Ganba, Giassa, Maróla, Nicola, 
Oio, Pieràssa, Pierobélo, Polàco, Spaca, Stciantìso (Badón), 
Scarànfo, Sàuro, Tràco.

Dele Fameje: Bonato, Carraro, Fondase e Righele, no ghémo notissia de soranome fibìà ale diferente rame.
Bión ca ringrassiemo Giani de l’Argenta, nostro aiutante dala Vallonia, ch’el se gà tólto la briga de ruscàre tra i ricordi e butàr do la prima sbossa. Come ca vedì stémo trapelàndo a livélo internassionàle, con inviati in ogni cantón del mondo.

Gianni Spagnolo

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...