Bóre sbrìndole

[Gianni Spagnolo©25C23]

La città di Venezia, che ci governò per oltre tre secoli, è stata fondata su milioni di pali conficcati nel fondo limaccioso della laguna, in una sorta di foresta capovolta. Di legno erano le travature delle sue case e dei suoi palazzi; il legno era la materia prima per costruire le sue imponenti galeee, perno della sua millenaria dominazione dei mari. L’Arsenale di Venezia fu infatti a lungo la fabbrica maggiore d’Europa e la prima manifattura ad adottare sistematicamente la lavorazione in serie. Possiamo quindi dire, rasentando il paradosso, che Venezia divenne grande grazie allo sfruttamento delle sue risorse boschive.

Una serie di circostanze e primati legati tutti alla costante disponibilità di legname. Ma da dove proveniva tutto questo legno? Le foreste della corona alpina e prealpina, furono per secoli riserve boschive strategiche per la Repubblica di Venezia. Fiumi come l’Adige, il Brenta e il Piave trasportavano i tronchi fino in città. Il larice e l’abete, essenze provenienti dalle montagne, erano destinati a fondazioni, ponti e pavimentazioni, mentre la quercia era impiegata per la costruzione di navi e altri elementi strutturali di grande resistenza. Infine il faggio era il legno ideale per la costruzione dei lunghi remi delle galee. 

Perciò Venezia adottò normative rigorose per disciplinare la coltivazione dei boschi e salvaguardare la sua economia, senza dimenticare la protezione dei gelsi per la seta. I boschi e le foreste, attraverso il loro uso programmato, non solo si potevano conservare, ma dovevano diventare fonte di reddito. Con una legge del 1452, la Serenissima rivitalizzò le proprietà collettive, come le Regole Cadorine, o quelle del Comelico, o i Colonnelli dei Sette Comuni. Nel 1470 decretò che "... tutti i roveri cresciuti su qualsivoglia fondo di tutto il dominio veneto", e non solo ogni singola quercia, venivano dichiarati proprietà della Serenissima, senza indennizzo, ma pure il terreno, su cui era cresciuta, rimaneva vincolato alla perpetua produzione di "possibili" querceti. Il legname arrivava in in laguna legato in zattere, flottando lungo i fiumi citati, al ritmo medio annuo di tremila zattere, per contare solo quelle del Piave. [Video fluitazione sul Piave]

Anche i nostri Sette Comuni erano perciò importanti fornitori di questo commercio. Ne è testimone la Cala’ del Sasso, eccezionale e plurisecolare via di comunicazione, lungo la quale i legname dell’Altopiano veniva condotto in riva al Brenta e da qui, sul fiume, direttamente in Laguna. L’ultima condotta di quegli zattieri mi pare risalga al 1924, solo un secolo fa. 

Da boce, avremo sentito senz’altro i veci favoleggiare degli abeti dei nostri boschi usati per le alberature delle navi della Dominante: ma fu realmente così? Sarà certamente vero per il legname della parte orientale dei Sette Comuni, che gravitava naturalmente sulla Cala’ del Sasso e la Valsugana, ma per i boschi dei versanti occidentali dell’Altopiano, che orbitavano sul bacino dell’Astico, lo fu sicuramente meno. La dinamica del trasporto del legname avveniva infatti secondo modalità diverse, in virtù dell’orografia del territorio. I tronchi tagliati in montagna, venivano prima divallati con le menàde lungo le impervie valli affluenti dei torrenti montani, quindi fluitati su questi ultimi e infine raccolti in zattere da flottare lungo i fiumi che sfociavano in laguna.

Il nostro Astico, per la sua natura torrentizia, non aveva però questo largo orizzonte, dato che non affluiva direttamente nei fiumi che sfociavano in laguna, ma si perdeva, assai affievolito, fra i meandri prima del Tésina e poi del Bacchiglione, come già visto nel Post [Bore in moja]

Sull’Astico, quindi, stante il suo ridotto regime idrico, non vi poteva essere esercitata la flottazione legata, quella con le zattere di tronchi, per intenderci, bensì solo la fluitazione dei tronchi liberi. Questi non finivano perciò in Laguna ad alimentare la Dominante, ma si fermavano più verosimilmente nella Pedemontana Vicentina ad uso di quei paesi e città. Non materiale per le impavide galee che speronavano i Turchi, dunque, ma un più pacifico utilizzo strutturale per le ville palladiane e i palazzi cittadini.

La fluitazione non prevedeva ordinariamente la guida montata come per le zattere, bensì la condotta delle bore agendo dagli argini del torrente per mezzo del ranghiéro, quella sorta di lunghissimo sapìn che si vede in foto. Le bore scorrevano quindi libere trasportate dalla corrente del fiume, abilmente guidate dall’intervento dell’uomo nei punti un cui potevano arenarsi o mettersi di traverso. Pensiamo solo al superamento della forra della Prìa, per immaginarci la modalità di governo. Verosimilmente, lungo il tragitto, per dirigere meglio il traffico e lo smistamento del legname alle varie segherie, si costruivamo degli sbarramenti provvisori di raccolta.

Purtroppo non ho trovato letteratura o documenti storici riguardo a questa attività sull’Astico, per cui possiamo solo ipotizzare le sue modalità di esecuzione, ricavandole da quelle di altre zone meglio documentate. Riepiloghiamo dunque le operazioni salienti che caratterizzavano il trasporto del legname dalle parti nostre in epoche ante-Singèla.

In montagna le bore venivano tagliate d'inverno a 12 piedi veneti (pari a 4,17m). Venivano lasciati circa venti cm in più che, intaccati dallo scoronamento delle teste e dal danneggiamento del trasporto, sarebbero stati eliminati in un secondo tempo in segheria con il procedimento dell’intestatura.  Durante l’estate si esboscavano i tronchi scortecciati, usando slitte, oppure a strosso piantando stcione nella testa dei tronchi congiunti da anelli, che venivano fissati al balansìn al quale si attaccava un mulo o un cavallo. All’occorrenza, gli uomini sostituivano le bestie. 

Venivano quindi costituite le cataste alla testata delle valli per poi eseguire le menàde l’inverno successivo, non appena l’avrebbero consentito le condizioni meteorologiche. Nel fondovalle si trainavano le bore fino alle poste sul torrente per mezzo di buoi, formando grandi tassoni di tronchi sovrastanti il torrente. Con l’avvento della primavera e l’ingrossamento delle acque, si eseguiva la fluitazione, non prima d’aver inciso sul legname con il segnataje, la sigla del segato o del commerciante proprietario. La condotta veniva seguita lungo il torrente dai menadori, che intervenivano col ranghièro dove fosse necessario governare la navigazione. Era questi un unico e semplice attrezzo costituito da un lungo bastone di betulla, in cima al quale v'erano due punte in ferro, a mo' di rostro, fissate da una ghiera. In prossimità delle segherie venivano creati degli sbarramenti e direzionato il legname alla rosta della segheria di destinazione a colpi di sapìn, secondo la marca impressa sulla bora.

In stagione di menàde, i segantini lavorano giorno e notte a turni continui. Le segherie erano "alla veneziana" e potevano segare tronchi fino alla lunghezza massima di 15 piedi veneti (circa 5m), oltre questa misura, le travi venivano squadrate a colpi di dalmàra.





Commenti

  1. Gianni è sempre un piacere leggerti. A conforto delle tue tesi ti trascrivo alcuni appunti che ho trovato nelle lettere di mio nonno Antonio.
    1) dal comm. Francesco Rossi di Arsiero: "Vi restano commesse nr.40 abeti fresco adatto per pasta da carta escluso avezzo....consegna a Pria primi ottobre p.v" 12 settembre 1898.
    2) a Pietro Tapparelli, Vicenza. " Come ebbi a scriverle mi sarebbe urgentissimo avere a Musson 4 piane da 35/x10 che trovandosi nel lotto di Longalaita che ieri fu tradotto nella Val d'Assa...." 12 dicembre 1898.
    3) a Giovanni Peron, Schio. "pregiomi avvertirvi che per circa il 20 corrente faccio calcolo di aver completato il ponte sull'Astico presso questa R. Dogana, già feci parola al suo agente sig. Sartori (Nota dello scrivente: il futuro Cav. Paolo Sartori) credo dover avvertirvi semmai voleste approfittare per transitare col vostro legname, facendo una economia non indifferente premesso anche di un canone da pagare per il transito.
    In questo caso sarebbe necessario avvertirmi per poter disporre il fondo nel prato al ponte di Casotto che è già assicurato..... 8 gennaio 1899.

    Come vedi si poteva scaricare a Pria, oppure a Casotto dove mio nonno aveva affittato un prato per depositare il legname proveniente dalla Torra.
    Congratulazioni ancora per i tuoi scritti

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    1. Grazie Giorgio. Peccato che i Polachi siano arrivati tardi, altrimenti avrei un gran bell'archivio cui attingere per le nostre storie paesane ante unità d'Italia. Mi fa strano che la cartiera Rossi utilizzasse pesso ed escludesse l'avesso per la produzione della carta: entrambi contengono resina, ma il primo mi pare più del secondo; da verde, poi. Indagherò!

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