giovedì 26 dicembre 2024

Resilienza

 


Non mi è mai piaciuta la parola resilienza!  Prelevare dalla fisica un termine (resilienza) impiegato per indicare la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi, significa trattare l’uomo alla stregua di un oggetto, significa trascurare il fatto che l’uomo non è una cosa. Perché in lui si agitano passioni, emozioni, sentimenti, angosce, dolori, fantasie in quel gioco vertiginoso e incerto che è la vita! 

Ecco, io vorrei sapere se i resilienti sono anche capaci di comprendere chi non ce la fa, e quindi di assisterli, confortarli, aiutarli. Se conoscono, oltre alla resilienza, anche l’accudimento, il soccorso, la cura. Perché solo chi conosce la propria debolezza è in grado di comprendere la debolezza altrui. Solo chi è caduto può sostenere chi sta cadendo. E sa soccorrere con parole che non siano di generico incoraggiamento, ma di autentica partecipazione, quella che i greci chiamavano compassione, nell’accezione, non di compatire, ma di partecipare a quel « patire» comune di cui nessuno può dirsi immune.

Di partecipazione abbiamo bisogno. Di socialità e non di orgoglio individuale ostentato da chi ce l’ha sempre fatta. Mettere in comune le sconfitte mi pare molto più interessante che resistere o vincere a tutti i costi. Confucio una volta disse: Un uomo è grande non perché non ha fallito. O perché si è rialzato. Ma perché da quel fallimento ha imparato che quella che ora vedi come una debolezza, un giorno diventerà la forza di qualcun altro. Perché la vera forza non è sorpassare chi ti sta davanti, ma tendere la mano verso chi ti cammina dietro.

Umberto Galimberti

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