sabato 31 luglio 2021

Ogni fotografo, sia professionista che amatoriale, ha il suo "genere"...

Francesco Lorenzi, per esempio, fotografa di tutto e di più, ponendo però principalmente un occhio di riguardo ai "particolari" che dai più non vengono notati. Vuoi complice la vita sempre di corsa o che altro... fatto sta che dei particolari, sovente anche molto interessanti, scappano... (me compresa)

Iniziamo questa carrellata con l'altare di Sant'Antonio della Chiesa parrocchiale di San Pietro. Alzi la mano chi ha mai notato ed apprezzato questo "nautilos" sulla scalinata in marmo di Asiago.

(mi inserisco a guidare la cordata dei disattenti😊e pensare tuti i gloriapatri ca gò dito indenocià parchè el me fassa ciapare un 7 nei compiti!)😊

Qui di seguito il link per spiegazioni su Wikipedia:

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MIX: di tutto un po'...



"Nonna, cosa si fa se si è disperati?"

"Si cuce bambina mia. A mano, lentamente. Gustandosi ogni onda creata con le proprie dita."

"Cucire fa allontanare la disperazione?"

"No. Cucendo tu la decori. La guardi in faccia. L'affronti. Le dai forma. L'attraversi. E vai oltre."

"Davvero è così potente cucire a mano?"

"Certo cara. La gente non cuce più e per questo è disperata. Le sarte sanno che con ago e filo puoi affrontare qualsiasi situazione buia riuscendo anche a creare dei meravigliosi capolavori. Mentre muovi le tue mani è come se muovessi la tua anima in modo creativo. Se ti lasci trasportare dal ritmo ripetitivo del rammendo e del ricamo entri in un vero e proprio stato meditativo. Riesci a raggiungere altri mondi. Ed il groviglio di fili emotivi dentro di te si ammorbidisce. Senza fare null'altro."

"Cosa s'impara cucendo?"

"Ad affrontare ogni punto. E basta. Senza pensare al punto successivo. Ci si focalizza sul punto presente, ad ogni cucitura. Che poi è quello che ci sfugge nella vita quotidiana. Siamo disperati perché pensiamo sempre al futuro. E così facendo il ricamo diviene disarmonico, confuso, poco curato."

"Si, ma nonna... le preoccupazioni e le paure come si fanno a vincere con il cucito?"

"Bambina mia. Non le devi vincere. Le devi solo accoglierle. E comprenderle. Cucendo tessi la trama della vita con le tue mani, sei tu a creare l'abito adatto a te stessa. Cucendo ti colleghi a quel filo sottilissimo che appartiene a tutta l'umanità e ai suoi misteri. Cucendo ti trasformi in un ragno che tesse la sua ragnatela raccontando silenziosamente al mondo tutti i segreti della vita. Intrecciando i fili, intrecci i tuoi pensieri, le tue emozioni. E ti colleghi al divino che è in te e che tiene in mano l'inizio del filo."

Elena Bernabè


SNOOPY



 

venerdì 30 luglio 2021

Groste de caliero

【Gianni Spagnolo © 21G28】

Quando arrivarono anche da noi i Kellogs, i Fonzie, le Tortillas, i Nachos,.. e gli altri simili snack americani nelle loro accattivanti confezioni, qualcuno osservò che alla fine non si trattasse altro che di croste di polenta. Dal confronto con le nostre groste rimaste in memoria, che pur non avevano alcun condimento a nobilitarle, sti foresti non ne uscivano però divinamente. Dov’era il brustolìn, la croccantezza e la morbidezza assieme, el gratamento col pieron sul ramo, el pissighìn del ramo messo a lustro,  l’insendere del calidine sul podo del caliero, la facoltà di dosare il prelievo raspando più o meno a seconda dell’impeto? Andò jerelo el gusto de robarse la parte mejo, inpieronandose on co l’altro?

Cavare el caliero dal fogo o dai sirci, a jera massima robe da omini, parvia del peso; fa cuélo de rabaltare la polenta intel panaro e spartir le fetele col filo. Ma chìve da naltri de omini ghin jera gran puchi, chij jera tuti emigranti, elora ghe tocava ai veci o ala sposa. Me opà el me contava che so poro nono el fava la polenta cussita dura chel rivava a trarla for dal caliero inbalocà in man. Chissà che scotùni; ma élo el ghéa le man fate de corame dal manego dela menara. Da ultima i jera deventà  pì mistijri da none, da madone!

Polenta e tocio, tocio e polenta, lora contava pì el tocio chel resto. Tanto tocio, tocio da tociare, tocio da sbrodegarse, tocio da ciuciare. Polenta e tocio, .. altro che nouvelle cousine, altro che Master Chef, altro che cucina molecolare, .. a jera le molecole de tocio ca sercavimu naltri. Molecole de tocio, ioni de rame, atomi de calidine, groste de polenta. Bon tuto! Ecco, quella era forse più una cucina circolare, ma nel senso che la ghe dava de volta al caliero.

Bujà che jera la polenta, el caliero al vegnéa podà live rente via, a arsorarse. Gratà che jera le groste pì grosse, el ghéa da nar in moja par smorbiare cuéle che restava inciotolà sul ramo. Ecco che allora nasceva quella strana simbiosi del caliero con la fontana. Chi aveva la fontana comoda in contra’, esponeva il caliero in moja sui podi come fosse un trofeo, quasi a dire: anca oncò a ghén magnà! Rivincita sui tempi in cui questo rito quotidiano non era del tutto scontato.

Sula vecia fontana dij Checa, te pudivi contare i caljiri; inmancabile, fra tuti, cuélo del’Ana Pesaventa e dij Oji. Guai tocare i caljiri, a xugatolare a sbusare cuéle bele grasse groste moje arvegnue co l’acua. Guai! Gnanca cuéle, de groste, le nava trate via: a le jera bone par le galine, che le ghinava mate.

Strano davvero che un cibo così insignificante avesse tanti estimatori e di così varia specie.

Dai oncò e dai doman, a forsa de podare el culo sul fogo matina e sera, anca el ramo del caliero el se fruava, elora biognava canbiarghe el fondo. Cuìli, ciò, a jera mistijri pal pignataro, l’ometo chel passava par le contrà col so can, che ponto el jera dito: el can del pignataro. Élo el tajava el culo vecio e el ghin rivetava on de novo sul parsora vecio, de modo che sortisse un caliero novo, co in medo la bordura de riviti, cofà la caliera del caselo. Dopo el ciapava on strassòn inmastcià de ojo fumante, strapassandolo rento intel caliero e drioman el lo inbosemava col stagno, parvia che nol spandesse.  El caliero sortiva belo lustro, ma el canbiava de colore e nol jera mia pì massa bon par la polenta, elora el se doprava pal menestron, pal pastà dele galine e par tante altre robe. La polenta la ga da cusinarse intel ramo: lo sa anca el gato! Ancamassa, ciò!

Netà anca le groste par le galine, el caliero nava raspà col sale grosso e àseo, par farlo tornar splendente e pronto par naltra polenta. A jera na bela solfa, ogni dì conpagno...

Stachive a xe  la storia de mistro Tomaso, 

chel ghéa senpre la gossa al naso.

Ogni giorno, col so pavéro, 

el parava la polenta intel caliéro...

A forsa de dai la gossa che tremava,

cascava intela polenta chel parava.

Lora Tomaso el nava a tor farina pi bela

e tacava danovo la storiela.


Stachive a xe  la storia de mistro Tomaso, 

chel ghéa senpre la gossa al naso.

Ogni giorno, col so pavéro, 

el parava la polenta intel caliéro...

A forsa de dai la gossa che tremava,

cascava intela polenta chel parava.

Lora Tomaso el nava a tor farina pi bela

e tacava danovo la storiela.


Stachive a xe  la storia…



Ve li ricordate i tempi dei Khmer rossi cambogiani?

beh...  voi sapevate che un Khmer verde vive nei paraggi delle Fontanelle giù ai "Gerùni"? Incontrato casualmente oggi, mi ha permesso di addentrarmi nella sua residenza😊.
Dorme su un albero e la sua unica preoccupazione è di avere sempre le birre fresche, tant'è che ha provveduto ad incanalare l'acqua dalla roggia per farla confluire in un "mestèlo"😊.
Cordialissimo, simpaticissimo ed ironico... ci ha dato una mano anche a pulire le fontane e noi abbiamo approfittato della sua disponibilità😊.
Se passate di là una birra ve la offre volentieri😊


 
















MIX - di tutto un po'...


Sul pensiero di massa...

I sentimenti della massa sono sempre semplicissimi e molto esagerati.

La massa non conosce, quindi, né dubbi né incertezze. 

Corre subito agli estremi, il sospetto sfiorato si trasforma subito in evidenza inoppugnabile, un'antipatia incipiente in odio feroce.

Pur essendo incline a tutti gli estremi, la massa può venir eccitata solo da stimoli eccessivi.

Chi desidera agire su essa non ha bisogno di coerenza logica fra i propri argomenti.

Deve dipingere nei colori più violenti, esagerare e ripetere sempre la stessa cosa.

Sigmund Freud

Val d'Astico verticale


 

SNOOPY


 

giovedì 29 luglio 2021

Tempesta moja, tempesta secca... disastri e storie de na volta

 




Si parla molto, in questi giorni, dei cambiamenti climatici e dei danni che il clima  porta ogni giorno in diversi luoghi del nostro paese e del mondo intero. I telegiornali stanno raccontando di inondazioni, di grandinate eccezionali, di trombe d'aria e di bombe d'acqua. Vorrei raccontare della “tempesta del 1932”. So i fatti solo perché, naturalmente, mi sono stati raccontati.  

Da sempre, a luglio, mese di gran caldo, ma anche di grandi temporali, la gente aveva il terrore della tempesta. C'era tutta una “letteratura” nei confronti della grandine: innanzitutto si guardava alla grossezza dei chicchi; se erano piccoli e frammisti alla pioggia, si tirava un sospiro di sollievo. Se erano grossi, e se invece di essere tondi e lisci avevano sporgenze acuminate e magari cadevano in gran quantità e da soli, si parlava allora di “tempesta secca” e si diceva che “la tempesta secca la cava anca el còdego” (la grandine grossa e secca sa togliere il cotico dai prati). 

Veniamo alla storia. Erano i primi anni trenta dello scorso secolo, forse il 1932 e un bambino di Rotzo era stato chiamato su nei “Prai tedeschi” (la zona che sovrasta Rotzo, appena sotto il Forte di Campolongo), a sorvegliare le mucche della famiglia Costa “Mesenar”.  

Questo bimbo aveva appena terminata la terza elementare, ultimo anno dei suoi studi, e si guadagnava un piatto di minestra calda, la polenta e qualche pezzo di formaggio, curando le mucche al pascolo estivo, accompagnandole al pascolo, aiutando nella mungitura, facendo questo servizio in malga. 

E proprio verso la fine di luglio, si trovava lassù da solo quel giorno, perchè gli altri adulti erano scesi in paese per piccole, necessarie incombenze, e si accorse che una nuvola bianca, altissima e luminosa di mille lampi si avvicinava dal Garda. Sapeva che quella nuvola (i cumolonembi, nuvole che possono arrivare fino a 8 mila metri di altezza) avrebbe portato la grandine, la tempesta! Corse per i prati ancora disseminati di schegge di proiettile della recente Prima Guerra mondiale, corse tra le erbe che nascondevano il profumo dei fiori alpini, tra gli alberi scheggiati e contorti, quei pochi alberi resistiti al conflitto. Raccolse le mucche e le condusse, prima che poteva, verso “el cason” verso la baita dai muri di pietra coperti da grosse lamiere di ferro scuro. Corse per metterle al riparo, ma la “tempesta” fu più veloce di lui: si trovò sotto una fittissima sassaiola di chicchi di grandine, grossi come uova, senza riparo alcuno, con le mucche terrorizzate dai lampi, dal rombo dei tuoni, dal vento. In pochi minuti il terreno, prima verde, divenne una coltre bianca, ghiacciata e scivolosa. I chicchi lo colpivano con violenza brutale, e lui, solo lassù, si accorse che un chicco di grandine, più grosso del solito, lo aveva colpito sopra l'orecchio destro, staccandolo quasi completamente. Usò il suo berretto di lana come improvvisato rimedio sanitario sperando che il sangue smettesse di uscire e che l'orecchio, lacerato, potesse tornare, in qualche modo, quello di prima. Vista la situazione, da Rotzo, la buona gente che aveva lassù le mucche (i Mesenar) salì di corsa per portare aiuto e, in questo caso, anche le prime cure. 

Quel bimbo, forse anche per l'esperienza vissuta, divenne in età adulta uno straordinario “meteorologo” e io lo rivedo quando, guardando il cielo e annusando l'aria che sapeva di aglio pestato (si trattava dell'ozono creato dalla scariche elettriche) sentenziava: “-Da qualche parte ga tempestà” e si accarezzava involontariamente l'orecchio, in ricordo di quella grande grandinata della sua infanzia. Era mio padre, quel bambino; mi ha lasciato quando anch'io ero ancora bambino. Mi ha lasciato però anche canzoni, filastrocche, qualche poesia e qualche racconto come questo della “tempesta dei Prai Tedeschi” della “grandine secca” e dell'orecchio ferito da quei chicchi brutali.

Lucio Spagnolo

Qualche minuto di riflessione




Forse mai come negli ultimi tempi abbiamo netta la sensazione che il pianeta su cui viviamo, nostra Madre Terra, sia simile ad un animale ferito che attraverso eventi climatici sempre più estremi lancia grida di dolore e manifesta i segni della propria sofferenza. Nel giro di soli cinque giorni l’Altipiano ha subìto due eventi calamitosi importanti: giovedì 8 luglio un violento nubifragio, accompagnato da grandine, ha colpito una vasta area compresa fra Foza, Gallio e Conco, con una tromba d’aria che ha divelto centinaia di abeti e asportato il tetto della malga Pian di Granezza. Martedì 13 luglio una quantità enorme di pioggia, concentrata in poco tempo, è caduta nei territori comunali di Rotzo, Roana e nella Valdastico, causando frane, interruzioni stradali e perfino allagamenti di abitazioni. La quantità di acqua caduta, stimabile in circa 200 mm nell’arco di una sola ora, è talmente enorme che nessun sistema idraulico sarebbe stato in grado di raccoglierla e smaltirla. È una precipitazione di tipo tropicale, adatta alle foreste tropicali dove una vegetazione rigogliosissima attenua gli effetti diretti delle piogge; l’acqua in esubero finisce a terra a formare ristagni e acquitrini, senza creare alcun problema. Le immagini del monumento ai Caduti di Rotzo invaso dall’acqua, con un torrente in piena che scendeva dalla scalinata, farebbero pensare ad una valle ostruita o a qualcosa di simile, invece a monte del monumento non c’è nessuna valle, solo prati e, più in alto, il bosco: niente è cambiato rispetto all’epoca della sua costruzione, risalente a quasi cento anni fa. Non è pensabile che progettisti e amministratori potessero costruire un edificio sacro, dedicato al culto dei Caduti in guerra - tema molto sentito all’epoca - in un luogo che non fosse più che sicuro, sotto ogni punto di vista. Solamente il bosco è diverso rispetto ad allora, un tempo era molto più in alto, staccato dal paese, ora si è notevolmente esteso abbassandosi verso le case. Tale fatto, peraltro, se esaminato da un punto di vista strettamente idraulico, rappresenta un sicuro miglioramento, in quanto qualunque tipo di bosco trattiene l’acqua più efficacemente rispetto ad un prato o un pascolo. L’acqua che ha invaso le nostre strade ostruendole di materiale era solo in parte tracimata dagli alvei delle valli, più spesso stava semplicemente scorrendo sulla superficie dei prati, dei campi, delle aree incolte e seguendo la pendenza del terreno si concentrava sulle strade, nei cortili o in qualunque altro luogo dove la forza di gravità l’obbligava a portarsi. Nessun terreno avrebbe potuto assorbire tutta quell’acqua - che così tanta forse non si era mai vista a memoria d’uomo - men che meno in un ambiente di montagna dove la pendenza ne accresce la forza, la potenza e la capacità distruttiva. In pochi giorni siamo passati dai campi di patate riarsi, oltremodo bisognosi di una pioggia, ai laghetti che sommergevano i campi stessi, come nei periodi di forti piogge autunnali. Consideriamo pure che non sono trascorsi nemmeno tre anni dalla tempesta Vaia le cui conseguenze sono tutt’altro che finite, molto legname è ancora a terra e nelle zone più impervie nemmeno verrà più raccolto, mentre nei boschi sopravissuti si stanno allargando a macchia d’olio i disseccamenti provocati dal bostrico. Se volgiamo lo sguardo attorno, vediamo eventi estremi un po’ in tutta Italia, grandinate da far paura, straripamenti e alluvioni quasi ad ogni temporale, incendi dovuti quasi sicuramente a piromani ma accresciuti dalla siccità e dalle altissime temperature. Nel resto del mondo non va meglio, se pensiamo ai disastri della Germania, dove i fiumi hanno invaso zone non di espansione edilizia recente, ma città antiche che mai si erano confrontate con simili problemi. In Canada recentemente si sono registrate temperature di 50°, paragonabili a quelle del deserto, superiori di 10° (dieci gradi! di solito i record si ritoccano a misure di decimo di grado …) alle temperature massime registrate in precedenza a quelle latitudini. La Terra non ne può più dei nostri comportamenti scellerati e si sta ribellando. Ne ha tutte le ragioni: l’abbiamo violentata in tutti i modi in cui ciò è possibile. Come un animale ferito e ridotto all’angolo, mena zampate e unghiate per difendersi e farci capire che in questo modo non si può più continuare. Cerchiamo tutti di capirlo, prima che sia troppo tardi. 

Lo dobbiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti e a quanti verranno dopo di noi.

(da biblioteca civica di Rotzo)


MIX - di tutto un po'...



Se raccogli 100 formiche nere e 100 formiche rosse e le metti in un vaso di vetro non succederà nulla, ma se prendi il vaso, lo scuoti violentemente e lo lasci sul tavolo, le formiche inizieranno ad uccidersi a vicenda!

Le rosse crederanno che le nere siano le nemiche mentre le nere crederanno che quelle rosse siano le nemiche, quando il vero nemico è la persona che ha scosso il vaso!

Lo stesso vale per la società!

Uomini contro Donne

Sinistra contro Destra

Ricco contro Povero

Fede contro Scienza

Giovane contro Vecchio

eccetera...

Prima di metterci a litigare tra di noi dobbiamo chiederci: 

chi ha scosso il vaso?

2 risate
































 

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...