sabato 29 febbraio 2020
venerdì 28 febbraio 2020
Una serata particolare fra i libri
Nella
piccola biblioteca, quella era una serata speciale: un appuntamento
con tanti bambini per provare a fare un esperimento particolare…
Non
era un esperimento di magia, di chimica o chissà che altro... no, era
un esperimento con i libri!
La zona riservata ai piccoli ospiti, era
stata preparata con cura; drappi azzurri e blu, luci dello stesso
colore e fra gli scaffali, piccoli lumi delicati rendevano magici
quegli spazi. Per terra cuscini e coperte, pronte ad accogliere i
bambini che arrivati e tolte le scarpe, si posizionarono in relax ed
attesa…
Sugli
scaffali tutti i libri erano agitati… cosa stava succedendo? Perché
quelle luci azzurre intorno a loro? Erano in trepidante attesa,
quella sera alcuni di loro erano stati scelti per essere mostrati e
raccontati; per ognuno di loro era una gioia immensa! Sapevano bene
cosa si provava a essere sfogliati, accarezzati e letti... era per
questo che si trovavano lì, per essere scelti, ammirati e
raccontati. Le piccole manine che li sfogliavano avevano dei tocchi
dolci e quando i loro disegni venivano toccati, sentivano il
solletico, ma erano felici di essere maneggiati.
Quella
sera, tutta la biblioteca, tutti gli scaffali con i libri, erano
orgogliosi di far parte di quell’esperimento: in quel preciso
momento, molte altre biblioteche sparse in tutto il territorio
Nazionale, avrebbero letto gli stessi testi ai bambini convenuti
all’appuntamento e questo era un fatto eccezionale. Quando Chiara e
Clarissa sfogliavano i libri e raccontavano le storie, era come se
mille voci tutte insieme stessero parlando e nell’aria si percepiva
qualcosa di magico che, volteggiando, raggiungeva ogni luogo della
terra e del cielo. Le bibliotecarie leggevano e mostravano i disegni
e i bimbi, incuriositi, facevano domande e cercavano di guardare da
vicino le immagini, quasi a voler entrare nei libri, a prendere parte
alle storie: è questo il fine di un racconto, far entrare i lettori
nelle storie, farli sentire partecipi di un’avventura!
Le
piccole luci movendosi sembravano dar voce ai libri negli scaffali,
pareva si unissero agli applausi dei bambini, ogni volta che una
storia terminava e il magico libro veniva chiuso e riposto.
Poi
storie e filastrocche d’altri tempi, mentre l’orologio tornava
indietro e andava al periodo dove non esisteva la tecnologia con
tutti i modi per leggere, guardare giocare; la trasmissione orale era l’unico modo per tenere vivi racconti e storie a loro volte
imparate dai nonni o dai genitori.
Su
uno scaffale erano stati preparati i libri da scegliere per essere
portati a casa, ammirati e letti: ogni libro sperava di essere preso
e sfogliato e tutti bisbigliavano alle tante manine che li toccavano. Prendimi, dai, prendimi! sussurravano lievemente...
I
bambini quella sera si sarebbero portati a casa un libro e per un
po’ di tempo, la tecnologia sarebbe stata messa da parte e di
questo, tutti i testi della biblioteca si sentivano felici e
soddisfatti: quella serata speciale era stata per loro un bel regalo
e tutti speravano potesse succedere ancora e ancora...
Così
è terminata la serata in Biblioteca a Valdastico del 21 febbraio
2020: tanti bambini accompagnati da genitori e nonni, che hanno
ascoltato, osservato e si sono portati a casa un libro che rimane
sempre, nonostante la tecnologia, il modo più bello di osservare,
leggere e fantasticare con i magici racconti che contiene.
Un
ringraziamento a chi ha organizzato e preparato questo incontro, a
chi ha partecipato e a tutte le persone che, frequentando la
Biblioteca Comunale di Valdastico, contribuiscono a tenerla viva e a
farla screscere.
Con
l’augurio che spesso ci possano essere occasioni d'incontro e di
lettura, che possano essere accolte da molti come opportunità
importante, auguriamo a tutti… BUONA LETTURA!
Qualunque
sia il genere che interessa, sfogliare un libro è come vivere ogni
volta un’avventura straordinaria!
Lucia Marangoni
Damari
Un mercoledì di quaresima mai pensato….
Per la chiesa cattolica e
tutti i cristiani, i tempi liturgici scandiscono i periodi dell’anno
con i loro riti e gli incontri particolarmente significativi. Dopo il
tempo di Avvento, attesa della venuta di Gesù tra gli uomini, un
altro tempo forte è la Quaresima, che da sempre inizia con il
Mercoledì delle ceneri. Un giorno dove il cristiano viene
sollecitato a fare digiuno, astinenza e a vivere questo periodo,
cercando di rinnovare la propria fede pregando in modo più frequente
e agendo con carità verso gli altri. Quindi, il verbo da usare in
questo tempo più di sempre è “FARE”, impegnandosi per
migliorare, per scorgere il fratello nei suoi bisogni, per dedicare
tempo a una visita o a una preghiera; anche prendendosi degli impegni
che possono solo aiutarci a vivere la fede in modo semplice, ma più
completo. L’imposizione delle ceneri, accompagnate dal monito
“Convertitevi e credete al Vangelo”, è come tenere a mente che
seguire Gesù e i suoi insegnamenti, per quanto difficile sia, è
l’unico modo che abbiamo per avvicinarci a Lui.
Quest’anno, a causa del
CORONAVIRUS, le celebrazioni sono state sospese e per tanti fedeli, è
stato un inizio di Quaresima molto strano, quasi irreale. Le
disposizioni della Diocesi sono state chiare, ma la nota alla fine
merita di essere ricordata: esercitare la preghiera, allenarsi a
parlare con Dio, a sentirlo vicino, pregare perché tutto questo
caos, finisca nel migliore dei modi. Assistere alla Santa Messa del
Vescovo Claudio, attraverso youTube, è stato molto strano: nella
cappella del Seminario Maggiore di Padova, i pochi convenuti alla
celebrazione, hanno dato un senso di semplicità, ma si è potuto
grazie alla tecnologia, sentirsi uniti alla cerimonia, ascoltando la
Parola di Dio, le parole del Vescovo e assistendo se pur lontani, a
tutti i momenti salienti della Messa. Guardando il nostro Pastore, i
diaconi, i sacerdoti, le suore e i seminaristi, ho ripensato alla
prima Chiesa, dove in pochi si riunivano a pregare, nella semplicità
e nella condivisione; mi sono sentita parte di quella preghiera e di
tutte quelle che sono state recitate in un mercoledì delle ceneri
che credo sarà ricordato da tante persone. Ho anche pensato a chi
non ha notato la differenza perché non partecipa alla vita
parrocchiale: alle tante famiglie, ai bambini e ragazzi… Quanta
ricchezza si perdono! Quando queste restrizioni saranno terminate e
tutto ritornerà alla normalità, vorrei che ognuno pensasse al dono
grande che abbiamo nel ritrovarci insieme a celebrare l’Eucarestia,
ad ascoltare la Parola, a pregare, a cantare…
Auguro a tutti che
questo periodo quaresimale ci aiuti a guardarci dentro, a riscoprire
la vera fede, a farci portatori della Parola che sempre aiuta,
consola, incita e ci fa camminare per la giusta strada.
BUONA
QUARESIMA
La spettacolare "Villa Pompei" Perez Sagramoso - a Illasi - Verona -
La villa sorge all'interno di unico grande complesso, con un grande parco e una collina nella cui cima si trovano le rovine del Castello di Illasi.
L'autore del complesso è l'architetto Vincenzo Pellesina, che ha lavorato anche a Versailles, al Palazzo Canossa di Verona e a Villa Sigurtà di Valeggio. Il termine dei lavori arrivò nel 1737, anche se il progetto non fu del tutto completato.
L'autore del complesso è l'architetto Vincenzo Pellesina, che ha lavorato anche a Versailles, al Palazzo Canossa di Verona e a Villa Sigurtà di Valeggio. Il termine dei lavori arrivò nel 1737, anche se il progetto non fu del tutto completato.
Villa Sagramoso Perez
Pompei è formata da un edificio centrale con due ali. Il cortile d'onore
davanti all'ingresso è racchiuso da due barchesse più basse rispetto
alla villa, ma comunque molto belle e grandi.
Le decorazioni interne alla villa sono degne di un luogo così votato alla bellezza e alla magnificenza. Alcune sale sono abbellite con affreschi che formano dei cicli mitologici.
Le decorazioni interne alla villa sono degne di un luogo così votato alla bellezza e alla magnificenza. Alcune sale sono abbellite con affreschi che formano dei cicli mitologici.
(Veneto segreto)
giovedì 27 febbraio 2020
Un po' di tutto
Ci
avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la
calligrafia, l'odore d'un libro, il ritaglio di un giornale, il "ci
vediamo alle otto in piazza", il negozietto di alimentari sotto casa, le
infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura
che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il
pallone nel cortile, l'attesa del rewind, la dedica alla radio,
l'impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito anche l'ultimo sussulto
relazionale, avrete completato l'opera inarrestabile di desertificazione
emotiva perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani,
sempre più vicini, eppur così lontani. La tecnologia ha accorciato le distanze, ma ha allontanato le persone, in tutti i sensi!
(Michelangelo Da Pisa-web)
mercoledì 26 febbraio 2020
martedì 25 febbraio 2020
El Scarpàro
Parliamo di una figura insostituibile e presente anche nelle realtà abitative più piccole e disperse.
Pelle, cuoio e successivamente gomma: sapendo mestosamente lavorare queste tre materie, è stato una figura dell'elite dell'artigianato.
Questo mestiere nacque nel medioevo: non c'erano tanti mezzi disponibili quindi il risultato finale (che aveva nel creare la "calzatura") era strettamente legata all'abilità della persona.
Fino agli anni 70', "el scarparo" riparava le scarpe, cinghie, indumenti in pelle e borse: purtroppo, questa occupazione non è mai stata molto valutata.
Negli anni 50, grazie all'industrializzazione e l’invenzione delle scarpe in gomma, cambiò completamente la tipologia nonchè l'idea di scarpa (ora, usa e getta) con inevitabili conseguenze sfavorevoli alla sopravvivenza di questa attività.
Pelle, cuoio e successivamente gomma: sapendo mestosamente lavorare queste tre materie, è stato una figura dell'elite dell'artigianato.
Questo mestiere nacque nel medioevo: non c'erano tanti mezzi disponibili quindi il risultato finale (che aveva nel creare la "calzatura") era strettamente legata all'abilità della persona.
Fino agli anni 70', "el scarparo" riparava le scarpe, cinghie, indumenti in pelle e borse: purtroppo, questa occupazione non è mai stata molto valutata.
Negli anni 50, grazie all'industrializzazione e l’invenzione delle scarpe in gomma, cambiò completamente la tipologia nonchè l'idea di scarpa (ora, usa e getta) con inevitabili conseguenze sfavorevoli alla sopravvivenza di questa attività.
Un po' di tutto
No, non siamo tutti amici.
No, non basta aver passato una serata insieme per chiamarmi amico.
No, amico non è un modo di dire.
È una parola che porta con sé un mondo di emozioni, promesse e intimità.
Non puoi chiamarmi amico e non guardarmi negli occhi.
Non puoi chiamarmi amico e non dirmi la verità.
Non puoi chiamarmi amico e celare, evadere, passare oltre.
Non puoi chiamarmi amico se conosci le cose importanti per me e scegli di ignorarle perché ti fa fatica.
Non puoi chiamarmi amico se ti ricordi di me solo quando ti conviene.
Non siamo tutti amici.
Non sono tuo amico se ci facciamo una foto insieme.
Non sono tuo amico se ti sorrido.
Non sono tuo amico se ci prendiamo un caffè.
Sono tuo amico se mi confido.
Se ti ascolto, se non mi distraggo, io che mi distraggo sempre.
Sono tuo amico se evito i consigli stupidi.
Le frasi fatte. Le soluzioni a portata di mano.
Se so ascoltarti e semplicemente stare.
Anche in silenzio, che a volte serve.
Sono tuo amico se conosco le parti più remote e assurde di te e le amo, le amo quanto amo le parti più remote e assurde di me.
Sono tuo amico se insieme sappiamo ridere fino alle lacrime.
Sono tuo amico se so chiederti scusa guardandoti negli occhi.
Se so dirti sinceramente che mi dispiace, che ho sbagliato. E che insieme possiamo ricominciare. Non una, ma mille volte.
Perché non sei amico se non sbagli mai, ma se hai voglia di ripartire sempre.
E infine sono tuo amico se per te riesco a fare una chiamata, perché io odio chiamare le persone.
Mi sembra sempre di disturbarle.
Un amico invece non si disturba, mai.
Sei mio amico se posso dirti che ti voglio bene. Conoscendo il significato più puro del termine e credendoci.
E se tu puoi fare lo stesso con me.
No, non basta aver passato una serata insieme per chiamarmi amico.
No, amico non è un modo di dire.
È una parola che porta con sé un mondo di emozioni, promesse e intimità.
Non puoi chiamarmi amico e non guardarmi negli occhi.
Non puoi chiamarmi amico e non dirmi la verità.
Non puoi chiamarmi amico e celare, evadere, passare oltre.
Non puoi chiamarmi amico se conosci le cose importanti per me e scegli di ignorarle perché ti fa fatica.
Non puoi chiamarmi amico se ti ricordi di me solo quando ti conviene.
Non siamo tutti amici.
Non sono tuo amico se ci facciamo una foto insieme.
Non sono tuo amico se ti sorrido.
Non sono tuo amico se ci prendiamo un caffè.
Sono tuo amico se mi confido.
Se ti ascolto, se non mi distraggo, io che mi distraggo sempre.
Sono tuo amico se evito i consigli stupidi.
Le frasi fatte. Le soluzioni a portata di mano.
Se so ascoltarti e semplicemente stare.
Anche in silenzio, che a volte serve.
Sono tuo amico se conosco le parti più remote e assurde di te e le amo, le amo quanto amo le parti più remote e assurde di me.
Sono tuo amico se insieme sappiamo ridere fino alle lacrime.
Sono tuo amico se so chiederti scusa guardandoti negli occhi.
Se so dirti sinceramente che mi dispiace, che ho sbagliato. E che insieme possiamo ricominciare. Non una, ma mille volte.
Perché non sei amico se non sbagli mai, ma se hai voglia di ripartire sempre.
E infine sono tuo amico se per te riesco a fare una chiamata, perché io odio chiamare le persone.
Mi sembra sempre di disturbarle.
Un amico invece non si disturba, mai.
Sei mio amico se posso dirti che ti voglio bene. Conoscendo il significato più puro del termine e credendoci.
E se tu puoi fare lo stesso con me.
(web)
lunedì 24 febbraio 2020
Serata allegra e riuscitissima sabato sera in Proloco a San Pietro dopo la sfilata in notturna!
Tutti bravi, bellissimi e originali, avete dato libero sfogo alla fantasia e vi siete superati!
Son contenta che il nostro Sindaco sia nuovamente incinto e che il 5° parto sia alle porte...
Un buon segnale per la Valle! Chissà che sia di esempio!
Ma chi xè che gà dito che ghe xè crisi de vocassiòn???
Vedo un pullulare di suore, preti e frati che pure loro fa ben sperare.
Non è che per la costruenda Scuola Materna, il Sindaco abbia avuto la pensata di reclutare le Suore per affidarne la conduzione come un tempo?
Giovani Novizie... allegre sembrano allegre... e direi pure al passo coi tempi... chissà...
Vedo anche Donald e Kim... con una sexy bodyguard al seguito... e the Cerato family sempre sensibile all'aspetto inquinamento...
B R A V I S S I M I T U T T I !!!
Già...
Manzoni non l’aveva vista, la peste, ma aveva studiato documenti su documenti.
E allora descrive la follia, la psicosi, le teorie assurde sulla sua origine, sui rimedi.
Descrive la scena di uno straniero (un “turista”) a Milano che tocca un muro del duomo e viene linciato dalla folla perché accusato di spargere il morbo.
Ma c’è una cosa che Manzoni descrive bene, soprattutto, e che riprende da Boccaccio: il momento di prova, di discrimine, tra umanità e inumanità.
Boccaccio sì che l’aveva vista, la peste. Aveva visto amici, persone amate, parenti, anche suo padre morire.
E Boccaccio ci spiega che l’effetto più terribile della peste era la distruzione del vivere civile.
Perché il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori.
La peste metteva gli uomini l’uno contro l’altro.
Lui rispondeva col Decameron, il più grande inno alla vita e alla buona civiltà.
Manzoni rispondeva con la fede e la cultura, che non evitano i guai, ma diceva, insegnavano come affrontarli.
In generale, entrambi rispondevano in modo simile: invitando a essere uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce.
(Cristina Comellini – da “Contributo”)
E allora descrive la follia, la psicosi, le teorie assurde sulla sua origine, sui rimedi.
Descrive la scena di uno straniero (un “turista”) a Milano che tocca un muro del duomo e viene linciato dalla folla perché accusato di spargere il morbo.
Ma c’è una cosa che Manzoni descrive bene, soprattutto, e che riprende da Boccaccio: il momento di prova, di discrimine, tra umanità e inumanità.
Boccaccio sì che l’aveva vista, la peste. Aveva visto amici, persone amate, parenti, anche suo padre morire.
E Boccaccio ci spiega che l’effetto più terribile della peste era la distruzione del vivere civile.
Perché il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori.
La peste metteva gli uomini l’uno contro l’altro.
Lui rispondeva col Decameron, il più grande inno alla vita e alla buona civiltà.
Manzoni rispondeva con la fede e la cultura, che non evitano i guai, ma diceva, insegnavano come affrontarli.
In generale, entrambi rispondevano in modo simile: invitando a essere uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce.
(Cristina Comellini – da “Contributo”)
Iscriviti a:
Post (Atom)
Potenza del nome
[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...