Ho molti amici su FB e ogni giorno parlo con alcuni di loro, eppure mi
sento solo. Nessuno mi conosce veramente, potrei essere chiunque, ma gli
“amici” prendono per buono quello che scrivo e le foto che pubblico. Ma
è la verità? Il problema consiste essenzialmente tra il guardare negli
occhi la persona con cui si interloquisce e il vedere una foto su
schermo. Chi è veramente Gregorio, Rita, Giovanna... Chi sono veramente le
persone che si affacciano su Facebook? Ho pensato molto e ho capito una
cosa su questi media che chiamiamo social.
Sono tutto fuorché sociali.
Quando accendiamo il computer è come se noi sospendessimo la vita reale,
come se mettessimo in modalità di attesa la nostra vita reale,
chiudiamo la porta dell’accoglienza. Tutta questa tecnologia è solo
un’illusione di una comune società, unita da uno spirito di gruppo, ma
quando ti allontani anche solo per qualche ora o giorno, ti svegli e
vedi un mondo di confusione, un mondo in cui siamo schiavi della
tecnologia che abbiamo creato, in cui l’informazione è venduta da
qualche ricco ingordo, bastardo manipolatore di menti.
È solo un mondo
di interessi, di selfie, di autocelebrazioni, in cui tutti condividiamo
le nostre parti migliori, lasciando fuori la realtà e le emozioni vere.
Siamo felici di condividere un’esperienza, anche se non c’è nessuno ad
ascoltarci, l’importante è che noi abbiamo lanciato il messaggio
virtuale. Editiamo, esageriamo, ricerchiamo adulazione, fingiamo di non
notare l’isolamento sociale. Sistemiamo le parole per far brillare le
nostre vite. Stare soli è diventato un problema. Non siamo più in grado
di leggere un libro, siamo solo capaci di leggere chat. Dovremmo invece
dipingere, fare esercizi fisici, scrivere anche se non siamo scrittori,
anche se chi dice di leggerci alla fine non legge nemmeno il primo
capitolo del libro che le hai regalato con tanto di dedica, solo così
saremo produttivi, presenti, vivi. Bisogna saper spendere bene il nostro
tempo. Quando siamo in pubblico e non abbiamo un telefono fra le mani,
ci sentiamo soli… assurdo! Qualche giorno fa mi è capitato di viaggiare
su un treno di pendolari, ebbene, c’era un silenzio irreale, come l’ho
odiato, non lo sopportavo, nessuno che parlasse per paura di sembrare
matto, tutti che “smanettavano” su quei dannati telefonini. Stiamo
diventando asociali, non siamo più capaci di parlare con gli altri,
guardarli negli occhi. Siamo circondati da bambini che fin dalla nascita
ci vedono vivere come se fossimo dei robot e pensano che tutto questo
sia normale. Io dico che non saremo mai un buon padre, o una buona madre
se non si è grado di intrattenere un bambino senza un Ipad. Da bambino
non stavo mai in casa, stavo con gli amici, sulla bici, avevamo buchi
nelle scarpe, sbucciature alle ginocchia, costruivamo case sugli alberi,
giocavamo agli “Indiani”. Adesso i parchi sono silenziosi; è
impressionante, ci sono solo vecchi che portano a spasso il loro cane,
non ci sono altalene, bambini che schiamazzano, non si gioca più a
“salta la corda, a campana, stiamo creando una generazione di idioti.
Bisognerebbe vietare di guardare il telefono mentre si cammina per la
strada. Le strade sono da esplorare, così come il cielo, le nuvole, gli
alberi… la gente! Abbiamo una vita limitata, i giorni contati, non
possiamo passarla intrappolati nella rete: i risultati saranno solo
rimpianti. Anch'io sono colpevole e faccio parte del sistema, di questo
mondo digitale in cui ci vedono, ma non ci sentono. Parliamo, digitiamo,
leggiamo solo chat, passiamo ore insieme senza essere vicini, senza mai
guardarci negli occhi e quello che più conta senza mai guardarci
nell'anima.
Non arrendiamoci a questa vita, diamo amore alla gente, non
ai nostri “mi piace”! Disconnettiamoci dal bisogno di essere ascoltati
solo virtualmente e circoscritti, usciamo dal mondo virtuale e cerchiamo
il contatto “vero”. Non guardiamo il telefono spegniamo il display…
viviamo di una vita vera!
Gregorio Asero-web
E io spero anche che Christian Bobin sia lungimirante...
C’è qualcosa della vita che non scompare, ma che si allontana.
Semplicemente si allontana per un certo tempo, come un bambino che ha avuto troppi maltrattamenti eviterà di trovarsi in presenza dei genitori che lo maltrattano.
La natura, la verità, la bellezza, la dolcezza, la lentezza che sono state danneggiate sono solo indietreggiate e diventano un po’ più difficili da cogliere, da vivere.
Troppo male è stato compiuto, ma non è irreversibile.
Non credo all’irreversibile. Rimango molto fiducioso e lo sarò sempre, l’umano nel profondo è invincibile, incancellabile.
Torneremo alle cose vive e vere.
Ma per questo, occorrerà che si raggiunga il punto di estrema stanchezza. Occorrerà che non si possa fare altrimenti.
L’uomo di oggi non è più cattivo di quello di ieri, è soltanto più smarrito.
(Christian Bobin - da “Abitare poeticamente il mondo”)
Gregorio Asero-web
E io spero anche che Christian Bobin sia lungimirante...
C’è qualcosa della vita che non scompare, ma che si allontana.
Semplicemente si allontana per un certo tempo, come un bambino che ha avuto troppi maltrattamenti eviterà di trovarsi in presenza dei genitori che lo maltrattano.
La natura, la verità, la bellezza, la dolcezza, la lentezza che sono state danneggiate sono solo indietreggiate e diventano un po’ più difficili da cogliere, da vivere.
Troppo male è stato compiuto, ma non è irreversibile.
Non credo all’irreversibile. Rimango molto fiducioso e lo sarò sempre, l’umano nel profondo è invincibile, incancellabile.
Torneremo alle cose vive e vere.
Ma per questo, occorrerà che si raggiunga il punto di estrema stanchezza. Occorrerà che non si possa fare altrimenti.
L’uomo di oggi non è più cattivo di quello di ieri, è soltanto più smarrito.
(Christian Bobin - da “Abitare poeticamente il mondo”)
Una buona parte dei ragazzi del 68 avevano la schiena ritta, erano ribelli ed indipendenti, erano pieni di valori e desiderosi di libertà; molti di quelli di oggigiorno, invece, sono perlopiù proni sulle "verità" irreali del cellulare, chiusi nel più cieco e, per loro, controproducente egoismo.
RispondiEliminaCaro il mio Carry, purtroppissimamente ogni generazione ha le sue rogne ma biasima quella successiva perché così è sempre stato. I ragazzi del '68 sono quelli che ora comandano e hanno guidato la società ai livelli attuali. E non vengono solo la parte cattiva, ma perlopiù da quella buona che dici tu. Quelle ancora precedenti, allevate a fame, rigore e dovere, hanno fatto i disastri che sappiamo. Per crescere ci vuole tempo, tanto tempo, tempissimamente. I problema è che negli ultimi due secoli abbiamo fatto correre al storia molto più veloce della nostra coscienza. Comunquemente, come diceva il I° barone di Tilton: In the long run we are dead.
EliminaCaro Insigne Reverendo, hai ragione, questo lo dicevano pure, parlando dei giovani, gli anziani ai tempi di Cicerone …
EliminaQuello che caratterizza la quasi generalità di questa nuova generazione, però, è la sua posizione soccombuta a tutto ciò che propina il cellulare, come risulta insito nell’immagine del post e del messaggio che ne segue, e su ciò, ritengo, non ci sia nulla di strampalato.
Essere chini, proni, non è certo peggiore della posizione che assumevano con la testa quasi tutta la generazione che ci ha preceduto, ascoltando chi parlava, a ragion veduta dall’alto del pulpito, o dal balcone. I predicatori, della peggior risma, sapevano bene, infatti, che se gli ascoltatori tenevano alta la testa, ciò limitava l’afflusso del sangue al cervello e, quindi, la sua ossigenazione e la folla sottostante, di conseguenza, poteva essere circuita più facilmente.
Anche la testa china limita le difese, all’ingresso dei messaggi, poste dalla capacità di analisi critica in possesso di ciascun individuo. Ecco perché, per facilitare l’apprendimento, si studia con la testa prona sui libri, ovvero i novelli predicatori ci tengono ad inviare i loro messaggi velenosi attraverso twitter.
Ma i ragazzi di oggi proni sugli smartphone non sono forse i figli di quei ragazzi del 68 pieni di valori, desiderosi di libertà, con schiena dritta ...??
RispondiEliminaTutto un altro mondo
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