venerdì 31 luglio 2015
giovedì 30 luglio 2015
Burano: lo amo troppo!
io adoro le case colorate, mi trasmettono allegria,
sono convinta che cambiano totalmente il paesaggio
mercoledì 29 luglio 2015
Storie di donne e del loro formaggio: Marianna Lucca
Giovane e simpatica, madre di due bimbi, inizia la sua attività casearia nel 2001.
Ristrutturata
una vecchia casa colonica di proprietà, in contrada Cucco a San Pietro
Valdastico in provincia di Vicenza, decise di cambiar vita e lasciato,
dopo dieci anni, il lavoro come tecnico di laboratorio in un’industria
cartaria della zona, si cimenta con successo all’allevamento delle capre
di razza camosciata alpina.
Dà inizio alla propria attività acquistando due capre in un vicino allevamento del Trentino.
Con i consigli di un esperto casaro piemontese trasforma il latte caprino in formaggio.
Ora i capi posseduti in azienda sono circa trenta con una produzione di latte di circa 100 litri giornalieri.
Marianna sviluppa la propria identità casearia producendo, dopo molte sperimentazioni, otto tipologie di formaggi caprini, con ottimi e apprezzati risultati:
un caprino fresco a coagulazione acida, caciotte fresche e stagionate, il talè, formaggio a crosta lavata, il crojer, caprino a lunga stagionatura, un eccellente erborinato, un caprino affinato nella cenere, ricottine.
Recentemente, con l’aiuto del marito Fabio, che si occupa della mungitura degli animali prima di recarsi al lavoro in un’industria della zona, avvia un agriturismo, aperto solo il fine settimana.
I formaggi si possono trovare, oltre che in azienda, anche in alcuni importanti ristoranti della zona.
La cucina dell’agriturismo offre prodotti di propria produzione (prodotti dell’orto, conigli, animali di bassa corte e salumi).
(fonte ONAF)
Dà inizio alla propria attività acquistando due capre in un vicino allevamento del Trentino.
Con i consigli di un esperto casaro piemontese trasforma il latte caprino in formaggio.
Ora i capi posseduti in azienda sono circa trenta con una produzione di latte di circa 100 litri giornalieri.
Marianna sviluppa la propria identità casearia producendo, dopo molte sperimentazioni, otto tipologie di formaggi caprini, con ottimi e apprezzati risultati:
un caprino fresco a coagulazione acida, caciotte fresche e stagionate, il talè, formaggio a crosta lavata, il crojer, caprino a lunga stagionatura, un eccellente erborinato, un caprino affinato nella cenere, ricottine.
Recentemente, con l’aiuto del marito Fabio, che si occupa della mungitura degli animali prima di recarsi al lavoro in un’industria della zona, avvia un agriturismo, aperto solo il fine settimana.
I formaggi si possono trovare, oltre che in azienda, anche in alcuni importanti ristoranti della zona.
La cucina dell’agriturismo offre prodotti di propria produzione (prodotti dell’orto, conigli, animali di bassa corte e salumi).
(fonte ONAF)
martedì 28 luglio 2015
Grest 2015
Per l'estate 2015 la Pro loco di S. Pietro con il patrocinio del Comune
ha organizzato i centri estivi per i bambini dai 6 anni in sù.
Per 3
settimane dal 6 al 24 luglio, 25 bimbi sono stati impegnati in
molteplici attività e uscite fuori porta . Circa 15 volontari si sono
dati il cambio per intrattenere i bambini durante i laboratori e le gite.
Il martedì sono state organizzate delle uscite con pranzo al sacco:
partenza alle ore 8 e rientro verso le 15.30. Per la prima settimana l'allegra brigata si è recata prima da Ruggero Rech per far visita al suo
piccolo, ma stupendo e curatissimo zoo, poi da Fabio Sella per ammirare i
suoi stupendi falchi, infine il bar Ponte Maso ha messo a disposizione
il suo gazebo per il pranzo al sacco.
Nella seconda settimana si
sono cimentati nella pesca, andando al laghetto della pescheria Stefani
dove, dopo una mattinata con la canna da pesca in mano, hanno pranzato in
una grande tavolata in riva al lago per poi tornare da Ruggero Rech per
vedere i suoi animali imbalsamati.
La terza settimana è stata all'
insegna dell' altruismo.
I bimbi si sono recati in casa di riposo e
dopo una bella tombola con i Nonni hanno pranzato insieme con pizza e
gelato gentilmente offerto loro.
Ogni settimana i bambini hanno fatto
dei lavoretti manuali che poi hanno portato a casa in dono. Un
appendichiavi in legno decorato, una ciotola porta caramelle in
cartapesta, il tubo della pioggia; oltre a questo eccovi una
carrellata veloce di tutte le attività e i lavori eseguiti: costruzione
di uno spaventapasseri, realizzazione di un teepee indiano, costruzione
gioco twister, decorazione di piatti di plastica, trucco e parrucco
per le bimbe, pittura del muro del parco giochi in via delle Alpi,
giochi d 'acqua.
La partecipazione è stata numerosa e inaspettata
tanto che a malincuore alcuni bimbi non hanno potuto partecipare a tutte
le settimane visto che i posti disponibili erano 25.
Un doveroso e
sentito ringraziamento a chi ha organizzato meticolosamente il tutto, ma
sopratutto ai Volontari che si sono resi disponibili per queste 3
settimane.
Penso che queste piccole grandi cose fanno bene al
nostro Paese ed oltre ad essere un aiuto prezioso per i genitori che
lavorano è anche un modo per i nostri bambini di capire l'importanza di
stare insieme e del fare gruppo.
Bravissimi a tutti con la speranza
che ripeterete questa esperienza anche l'anno prossimo!
Cinzia Giacomelli
Se Saturno fosse dalla Terra
alla stessa distanza della luna,
lo vedremmo così...
impressionante!
E sempre mi arrovello:
Cosè l'universo?
Cos'è l'infinito?
Cos'è la vita?
lunedì 27 luglio 2015
Valdastico Nord. Nasce un ‘Coordinamento’ per dire ‘no’. Dalla Vecchia- Confartigianato : “Bisogna farla”
La Valdastico Nord da qualche giorno ha un nuovo ‘nemico’, il
Coordinamento Trentino-Veneto contro l’autostrada A31 Valdastico Nord.
Il nome parla da solo. La settimana scorsa, a Besenello, in provincia
di Trento, si sono incontrate una quarantina di persone, tra
amministratori e membri di comitati territoriali provenienti dalla
Vallagarina, da Aldeno, da Trento, dalla Valsugana e dalla provincia di
Vicenza che hanno dato vita ad una nuova corrente che si oppone alla
realizzazione dell’autostrada che ormai da oltre 40 anni è il ‘cruccio’
dell’Alto Vicentino.
Il Coordinamento ha fatto sapere di essere convinto che sia urgente e
necessario “contrastare la nuova spinta di carattere economico,
politico e mediatico che vorrebbe far aprire i cantieri della Valdastico
Nord, un tratto facente parte di un’autostrada che già più di
quarant’anni fa era stata giudicata la più inutile d’Italia. Quei nuovi
quaranta chilometri (la maggior parte dei quali in galleria) forse
sarebbero vantaggiosi per qualcuno – spiega il Coordinamento in un
comunicato – ma certo richiederebbero uno sforzo economico e tecnologico
contrario alle politiche di riduzione del traffico automobilistico e
del trasferimento dei trasporti su rotaia. Aumenterebbero inoltre
l’inquinamento e le emissioni di gas serra e devasterebbero alcune valli
del Vicentino e del Trentino”.
Il Coordinamento Trentino-Veneto contro l’autostrada A31 Valdastico
Nord ha quindi deciso di procedere mettendo in atto due strategie mirate
a dire ancora una volta ‘no’ al prolungamento verso nord della A31.
“Da un lato stiamo predisponendo una rete di collegamento tra gli
amministratori – spiega il Coordinamento – La cosa è particolarmente
utile nel momento in cui sembra che le istituzioni provinciali trentine
stiano facendo, o siano costrette a fare, qualche passo verso un
possibile assenso alla grande opera. Dall’altro lato stiamo organizzando
un coordinamento tra i comitati territoriali, che permetta di
condividere dati e competenze e di pianificare iniziative comuni”.
La posizione di Confartigianato
Di tutt’altro avviso Nerio Dalla Vecchia, presidente di
Confartigianato Schio, che giusto un anno fa, insieme alle associazioni
di categoria
Confcommercio e Confindustria, avevano chiesto a gran voce che le
istituzioni intervenissero per fare pressione sull’ok all’autostrada.
“Da tre mesi abbiamo una motivazione in più per volere la Valdastico
Nord – ha spiegato Dalla Vecchia – Fino a pochi mesi fa c’era la
possibilità che anche la Valsugana diventasse autostrada e quindi ne
avremmo avute due parallele, il che non avrebbe avuto senso. Ma da poco
si è saputo che la Valsugana sarà semplicemente sistemata nei punti
critici, ma rimarrà una super strada. Quindi – ha continuato – i
trentini non hanno più l’alibi di dire che invadiamo il territorio con
troppe autostrade e non ci sono più scuse per dire ancora ‘no’ alla
Valdastico Nord. Dobbiamo ricordare – ha concluso – che la realizzazione
di questa arteria è fondamentale per lo sviluppo economico e turistico
dell’Alto Vicentino ed è un collegamento di primo piano tra tutta
l’Italia e il nord dell’Europa”.
Anna Bianchini-Thieneonline
domenica 26 luglio 2015
Ecco chi sono i profughi indesiderati: le loro storie di sopravvivenza. In 15 scappano
Hanno gli occhi terrorizzati tipici di chi sa da dove viene ma non sa dove finirà.
Visi neri come la notte che incarnano storie di uomini fuggiti da una
guerra religiosa che ha distrutto loro le case, gli altari delle
chiese, le famiglie e la professione. Hanno lasciato tutto in Nigeria,
per scappare dal ‘Gruppo della Gente della Sunna’, meglio conosciuti
come Boko Haram, propagandisti della Jihad che sostengono a suon di
bombe che “l’educazione occidentale è sacrilega”.
Sono questi i profughi che soggiornano alla Ex Colonia del Comune di Schio, nel territorio di Valli del Pasubio.
Sono andata a respirare con il mio naso l’odore dei profughi,
convinta di sentire quel tipico odore di aromi e sudore che comunemente
si associa all’Africa. Volevo vedere con i miei occhi, per tentare di
comprendere se nelle loro tasche si nasconde l’Isis, se nei loro
progetti c’è lo sterminio della razza occidentale o se semplicemente
sono dei poveracci che sono saliti su barconi sgangherati per andare incontro a un futuro che non si sa se ci sarà.
Ci sono arrivata alla Colonia con Valter Orsi, Sindaco di Schio,
desideroso di capire che sapore ha questa patata bollente servita al
suo Comune, per valutare ‘con mano’ eventuali pericoli, disadattamento,
intolleranza o insostenibili lamentele da parte dei profughi.
Dopo averli salutati con un ‘Bonjour’ ed essermi sentita rispondere
‘Good morning’, ho capito che la lingua giusta da usare era l’inglese,
ma ho preferito aprire il dialogo con un linguaggio ancora più
universale e ho offerto loro una sigaretta.
Fuori della Colonia erano in 4, gli altri erano tutti di sopra,
invisibili e silenziosi. Al momento gli ospiti sono 20 e altri 15
arriveranno entro sera. Altri 15, tutti provenienti dall’Eritrea, sono
scappati poche ore dopo il loro arrivo perché non riuscivano ad
ambientarsi in un luogo di montagna, non si aspettavano di dover
affrontare un ‘inserimento’ così traumatico – racconta chi è rimasto – ,
perché nessuno aveva detto loro che le differenze culturali,
climatiche, alimentari ed emotive, sono così difficili. Hanno preferito
rischiare di essere rispediti a casa, perché tanto non hanno nulla da
perdere. Ma Kennet li condanna e dice di loro: “Non hanno capito che
devono accettare le vostre regole. Noi invece siamo qui e ci resteremo
finchè deciderete cosa fare di noi”.
Kennet
(il nome è la traduzione in inglese di un incomprensibile suono che
proviene dall’Africa nera) ha 35 anni. Gli ho chiesto se potevo entrare
per vedere la cucina. Mi ha accompagnata all’interno e guardandomi negli
occhi si è seduto davanti ad una tavola vuota.
Kennet mi voleva parlare di sé. E’ nigeriano e cattolico come quasi
tutti gli ospiti della Colonia. Nel suo paese di spezie e gorilla, di
ippopotami e cascate, ha lasciato il suo lavoro di commerciante, una
mamma, due sorelle e una casa che probabilmente ora sarà stata rasa al
suolo perché cattolica. In silenzio è entrato Valter Orsi, impegnato nel
frattempo a discutere la fuga degli eritrei con un operatore della
cooperativa che gestisce ‘i ragazzi’. Poi Stanley (anche questo è un
nome adattato ad una lingua comprensibile dalle mie orecchie) si è
seduto vicino a Kennet. Ha 24 anni e faceva il barbiere. Il suo sogno è
imparare l’italiano, trovare un amico che gli insegni la lingua e gli
spieghi che cosa deve fare per poter fare il barbiere anche in Europa.
“Non lo so dove andrò – mi ha detto offrendomi un bicchier d’acqua,
unica vivanda presente in cucina – so solo che devo stare qui finchè non
mi danno dei documenti con i quali potrò muovermi. Devo lasciare la
vecchia vita alle spalle”. Poi, uno alla volta, i profughi sono arrivati
tutti, come, quando le sai aspettare, le mosche arrivano al miele.
Diffidenti come le marmotte si guardavano l’un l’altro, cercando di
capire chi fosse questa coppia di ‘padroni di casa’ così interessati
alle loro vicende personali. E piano piano, in un inglese con il
retrogusto della savana, si sono raccontati.
Cacciati dalla Nigeria, i 20 profughi ‘di Schio’ sono stati spinti a
piedi fino alla Libia, terra mussulmana, in cui ancora una volta si sono
sentiti dire “andate in un paese cattolico, sennò vi facciamo fuori”.
Da qui il barcone. Da qui la decisione di scavalcare il Mediterraneo
alla volta di una terra nuova e moderna, accogliente e profumata:
l’Europa. “Noi di questo gruppo siamo arrivati tutti con lo stesso
barcone, con altre 120 persone – mi ha spiegato Erik, 19 anni – E’ stato
un viaggio disperato, ma sicuro. Niente litigi con gli scafisti, niente
urla o botte. Sapevamo di avere il 50% delle probabilità di rimanere
vivi e qualcuno di noi è morto. Per il sole e la sete. L’abbiamo
affidato a Dio gettando il corpo nelle acque del mare. Non abbiamo
pianto, perché sarebbe potuto arrivare il nostro turno”.
“Ma come avete vissuto la partenza? – ho chiesto in preda a curiosità
mista a diffidenza – come siete saliti senza soldi (gli scafisti hanno
portato loro via tutto prima di imbarcarli) su una barca che punta verso
l’ignoto?”
Mi
ha risposto Kennet, il più anziano del gruppo: “In Nigeria mi avrebbero
ucciso, in Libia anche. Poteva uccidermi il mare. Mi sono chiuso nel
mio cuore e ho parlato con Dio. Gli ho detto: ‘se mi fai arrivare salvo
dall’altro lato del mare, io ti prometto che sarò un uomo migliore’ ed è
quello che voglio fare ora”.
A uno a uno i ragazzi si sono aperti. Due di loro vengono dal Gambia e
sono mussulmani e su di loro ha pesato la mia incertezza. “Quanto pesa
la religione? – ho chiesto – è davvero così importante per voi?”
Samate, 26 anni, non aveva dubbi e lottando strenuamente con il
pudore ha accennato un sorriso: “Siamo venuti qui per vivere e dopo mesi
di cammino e mare, finalmente abbiamo capito di essere salvi. La
religione non è un problema, non abbiamo nemmeno il tempo e la serenità
per pensare al nostro Dio”.
Ne è convinto anche Denny, 19 anni. Ha lasciato la mamma in ospedale,
ferita sotto le macerie della loro casa e la sorellina al suo
capezzale. Il padre è morto perché cattolico. “Sono venuto qui perché so
che mia madre guarirà e allora dovrò pagare il conto dell’ospedale”, ha
detto, forte del suo essere il capofamiglia.
Ma che cosa si aspettano questi profughi ora? Che cosa pretendono da
un’Italia in preda ad una crisi economica mai vista prima e impaurita di non riuscire a sfamare i suoi figli?
“Vorrei che ci fosse una televisione per imparare a distinguere il
suono delle parole italiane”, ha risposto Baui. “Vorrei una maglia più
pesante – ha detto Stanley – perché questa (una canottiera) è troppo
leggera e oggi la temperatura è scesa”. Un momento di silenzio, la mia
diffidenza e l’incalzare delle domande. Con la voglia che qualcuno
pretendesse un lusso esagerato, inadatto ai tempi e al ruolo di
‘semplici profughi’, volevo poter scrivere un insulto sbattendo sotto i
riflettori la loro ingordigia. E poi lo schiaffo. “Vorrei un telefono –
ha sussurrato il giovane capofamiglia – Vorrei chiamare mia mamma. Sento
che sta guarendo e vorrei che sapesse che sto bene”.
Anna Bianchini Thieneonline
sabato 25 luglio 2015
venerdì 24 luglio 2015
Quando il poco rende molto!
Non so di chi sia stata l'iniziativa
e nemmeno chi ha provveduto alla pittura,
(scrivetelo nei mesaggi mi raccomando),
comunque, di chiunque sia stata... BRAVI!!!
Con poco a volte si ottiene molto.
Avanti con l'altro pezzo
che avete avuto un'idea magnifica,
quanta allegria sa trasmettere questo murales!
Vedo anche panchine e tavolo aggiuntivo.
Il parco giochi del "campo del comune"
ultimamente è molto vivace e frequentato.
Bellissimo sentire il vociare e le risate dei bambini
e anche... delle Mamme!!!
Diocesi e Caritas in aiuto ai profughi di Tonezza: ‘Non possiamo restare indifferenti’. Interviene gestore Belvedere
Una netta presa di posizione in difesa della ‘logica della
fraternità e non dell’indifferenza’ è uscita dall’incontro organizzato
da don Roberto Xausa della parrocchia di San Michele nel patronato di
Arsiero, al quale hanno preso parte la Cooperativa ‘Con te’ di Quinto
Vicentino che ha in carico i 52 profughi stanziati a Tonezza e Giorgio
Fede, gestore del Belvedere, l’albergo che li ospita dal 25 giugno.
Si tratta dell’unico vicariato (che comprende le parrocchie di
Arsiero, Pedemonte, Valdastico, Posina, laghi, Velo d’Astico e Tonezza)
che abbia programmato una riunione specifica per la questione profughi.
E’ il primo segnale che anche i cattolici vogliono dire la loro su
quelli che considerano prima di tutto esseri umani, nell’unica realtà
del vicariato, Tonezza, ad essere sotto la lente per aver accolto i
clandestini africani.
Nelle intenzioni dei religiosi c’è quella di ‘non voler discutere la
questione troppo ampia dell’immigrazione’ ma semplicemente di capire
cosa deve fare un buon cristiano per creare una vera integrazione
all’interno della comunità, siano i profughi cristiani o mussulmani.
‘La prefettura ci ha contattati direttamente – ha raccontato Anna Dal
Maistro, operatrice della Cooperativa ‘Con te’, che si occupa di
persona quotidianamente dei profughi residenti a Tonezza – e noi abbiamo
avuto la disponibilità di Giorgio Fede. Il nostro compito è quello
letteralmente di rieducarli e di garantire loro dei servizi con i 35
euro al giorno stanziati per loro. Tra questi vitto e alloggio, tre
lezioni alla settimana di italiano, un ‘pocket money’ giornaliero di
2,50 ciascuno, scarpe e vestiti’.
L’incertezza della ‘sorte’ dei profughi è cosa risaputa: a Tonezza ci
resteranno comunque minimo 10 mesi, in attesa che si riunisca una
commissione (che avrà sede a Verona ma non è ancora attiva) con lo scopo
di decidere se dare loro lo status di rifugiati, necessario per
mantenere il permesso di risiedere nella Comunità europea.
Il moderatore della serata, don Giovanni Sandonà, delegato della
Caritas per il Triveneto, ha ammonito invece la Cooperativa a non ‘farne
solo una questione di guadagno’. ‘Dovete farli arrivare – si è espresso
il religioso rivolto alla Dal Maistro – preparati all’esame per la
commissione. Se gli viene revocata l’accoglienza, dove andranno? A
questo punto cesserà il discorso economico e non avranno un posto dove
andare’.
Ma che cosa può fare di utile per loro la comunità cristiana? Fedeli e
religiosi sono d’accordo: devono agire in prima persona per creare un
clima di fraternità ed accoglienza, per non favorire quella che
definiscono ‘la cultura del conflitto’. Il vicariato di Arsiero dovrà
impegnarsi a mettere a disposizione alcune persone provenienti da ogni
parrocchia che dovranno occuparsi di integrare i profughi, tutti giovani
tra i 18 e i 30 anni, nella comunità del paese.
‘Gli ho insegnato a mangiare con la forchetta – ha invece raccontato
Giorgio Fede – perché molti di loro quando sono venuti qua mangiavano
solo con le mani. Gli ho dato delle regole ben precise e per adesso le
stanno seguendo, anche perchè a differenza di certe città come Vicenza,
fuori non hanno l’opportunità di trovare le cosidette ‘cattive
compagnie’. In generale mi aiutano a preparare le tavole e cercano di
darmi una mano. Sono però molto stupito e amareggiato che molti di
quelli che si dicono cristiani e vanno a messa tutte le domeniche appena
li vedono si girano dall’altra parte’.
Marta Boriero-Thieneonline
Saggezza
Ho imparato che spesso le persone non comprendono quello che hanno davanti e spesso non lo apprezzano.
Ho imparato che da un giorno all'altro tutto può cambiare.
Ho imparato che non c'è cosa più bella e difficile che potersi fidare di qualcuno.
Ho imparato ad accettare le delusioni o comunque a non dargli troppo peso.
Ho imparato ad andare avanti anche quando l'unica persona con cui vorresti parlare è la stessa che ti ha ferito.
Ho imparato che questo molte persone non l'hanno mai capito.
Ho imparato che più dai e meno ricevi.
Che ignorare i fatti non cambia i fatti.
Che i vuoti non sempre possono essere colmati.
Che le grandi cose si vedono dalle piccole cose.
Che la ruota gira, ma quando ormai non te ne frega più niente.
E soprattutto quello che più mi piace della vita è che non si finisce mai di imparare.
Fabio Volo
giovedì 23 luglio 2015
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Potenza del nome
[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...