sabato 31 marzo 2012

Campane



Suoni portati dal vento, si odono in tutta la valle…
Satellitari, telefonini, sms, internet, videotelefoni… e quanto d’altro ancora ci sa proporre il mercato in questi anni, dove l’evoluzione delle comunicazioni ha avuto il suo apice, dove il progresso ha modificato il modo di comunicare di molta gente.
Ci sembra tutto così “normale” che non ci passa mai per la mente di pensare a qualcosa di diverso, alle difficoltà di un tempo , alle fatiche per portare un messaggio anche nei paesi vicini.
Una cosa che però è rimasta presente nonostante i tempi moderni , è il messaggio che ogni qual volta si mettono in movimento, sanno darci con i loro rintocchi…
le CAMPANE dei nostri campanili…
Da sempre sanno portare la gioia dei lieti avvenimenti o il dolore delle cose tristi,… sanno chiamare, dare annunci, battere le ore, farsi sentire con tutta la loro potenza e la loro musica.
Siamo talmente abituati che ci facciamo poco caso…se capita però che tacciano, per qualche “malanno” allora sì che ce ne accorgiamo perché il loro suono è una compagnia che sarebbe triste non avere…
Accade a volte che qualcuno si lamenti…perché, specialmente se si vive nei dintorni del campanile, il suono può essere assordante, ma come si può pensare di far tacere la voce dei nostri paesi?
Le campane hanno avuto un ruolo importante per la gente di un tempo, per la maggior parte contadini e quindi andando a lavorare nei campi, si regolavano con il loro suono e ogni cosa che succedeva in paese era annunciata tirando i “sogàti” dai campanari che erano persone molto rispettate da tutti.
Specialmente da alcuni punti della Valle dell’Astico, da come tira l’aria, si possono udire i suoni delle campane dei paesi in cima alla montagna o di quelli vicini ed è una gioia poter ascoltare la melodia che viene portata dal vento e si espande fra le case, nei boschi, nei prati, tra i bianchi sassi del torrente…
E’ per rendere omaggio ai campanili e alle campane della nostra Valle, che vi regalo questa semplice poesia…
Sappia risvegliare in ogni lettore la gioia di mettersi all’ascolto del messaggio che ogni giorno le campane dei nostri piccoli paesi, sanno portare.
Lucia Marangoni

mercoledì 28 marzo 2012

La Meneghìna



...la Meneghìna Lorenzi 

intenta a "pelàr patate"...

chissà mai quante ne avrà dovuto pelare nella sua vita con la famiglia numerosa che aveva...
Date un'occhiata anche alla stupenda stufa...

lunedì 26 marzo 2012

La scaffa delle Anguane



Disegno di Cinzia Giacomelli

Era una notte chiara e splendente, la luna piena illuminava tutto il paesaggio, mentre alcune zone d’ombra sembravano ancor più scure. Bella , luminosa, magica…la luna e le stelle rendevano il cielo come un quadro meraviglioso e, mentre Giovanni stava ad ammirare, tanti pensieri gli passavano per la mente. Ormai era cresciuto, ma le storie sentite nelle stalle, durante le fredde sere d’inverno, riecheggiavano ancora nella sua testa e un brivido di paura scosse tutto il suo corpo. Ma fu un attimo, la notte non gli faceva paura, anche se era abitata da strani personaggi; lui ci credeva poco, anzi, cercava di non pensarci, perché tutte quelle storie erano cose da bambini.
Pensò che sarebbe stata la notte giusta per fare quello che doveva, ma decise di aspettare qualche giorno così che la notte fosse meno chiara , che la notte celasse i suoi movimenti e che la piccola luna illuminasse solo il sentiero per arrivare al torrente. Sì, proprio al torrente, lì avrebbe potuto fare quello che lo avrebbe aiutato a sopravvivere catturando trote e marsoni (scazzoni) tanto da cambiare il solito menù fatto di polenta, formajo, minestron, late…Giovanin, così era chiamato ,( in paese si tramandavano i nomi da generazioni, quindi per distinguersi si abbreviavano o si modificavano) era uno a cui piaceva il rischio,sapeva che il Guardia- pesca era all’erta , ma lui, come tanti altri, cercava di procurarsi il cibo in quel modo un po’ fuori-legge… la fame gli dava coraggio e quando sentiva il cuore battere forte, e un po’ di paura, si diceva che lo stava facendo per un giusto fine: portare qualcosa a casa per sfamare la famiglia! Non era solo coraggio, non era andare contro la legge, non era semplicemente correre rischi: era un gran bisogno di sfamarsi…
Passarono alcuni giorni e la bella tonda luna iniziò il suo declino, così una notte, Giovanin si avviò per il sentiero che portava sotto al paese di San Pietro e arrivò sulla riva del torrente: i bianchi candidi sassi brillavano nella notte mentre il gorgoglio dell’acqua, scendendo e accarezzando i ciottoli , raccontava storie fantastiche.
Buio e silenzio: atmosfera ideale per catturare qualche trota o per spostare i massi e prendere i marsoni, senza essere visti. Era arrivato lì con in spalla il “ràbio” e la “cunèla” attrezzi indispensabili per pescare di notte. Con gli occhi attenti, la mente sveglia, corpo vigile, gambe veloci, furbizia e ingegno….erano queste le qualità del giovane ed era grazie a queste sue “doti” che non era mai stato preso con le mani nel sacco!
Era lì che osservava attentamente il letto del torrente e iniziare il suo lavoro, quando un rumore nel sentiero poco lontano, lo fece trasalire… con passi leggeri uscì dall’acqua e si accovacciò vicino ad un cespuglio depositando a terra i suoi attrezzi…
Sentiva solo i battiti del suo cuore, il suo respiro che sembrava il soffio di un “mantèse” , cercava di trattenerlo per non far rumore; la tensione che sentiva in tutto il suo corpo era fortissima e un unico pensiero occupava la sua mente: lo avevano beccato! Ma poi, i rumori si fecero più vicini e capì che era qualcosa di insolito, di strano, di fuori dal comune…
Il fruscio tra i cespugli era accompagnato da voci appena bisbigliate, suadenti, leggere che cantavano melodie mai sentite. Un lampo gli passò nella mente:il racconto degli anziani che descrivevano delle creature che vivevano sulla “Scaffa”proprio sopra il paese, donne che scendevano di notte al paese a prendere l’acqua o al torrente a lavarsi ed ammaliavano gli uomini…che facevano incantesimi e chissà che altro…le Anguane!
“ Vuoi vedere-pensò il giovane- che sono proprio le Anguane??” Ma allontanò il pensiero, ora sì che aveva paura, tante erano le dicerie che si raccontavano si queste creature, anche se a dire il vero fino a quel momento aveva pensato che tutti quelle storie fossero frutto di una fervida fantasia. “La scaffa delle Anguane” era da sempre un luogo da evitare: era la casa di queste creature e mai nessuno osava disturbare la loro dimora. Si sporse un po’ dalla sua posizione , la luna rischiarava appena la notte e sul pelo dell’acqua sembrava fossero sparsi tanti brillanti, mentre il torrente pareva diventato più calmo e tranquillo…E fu allora che le vide e restò stupito e allo stesso tempo incantato: le dolci creature erano immerse nell’acqua e giocavano allegramente. Giocavano, danzavano, cantavano in quell’atmosfera quasi irreale e lui si sentiva come dentro un’altra dimensione, in un altro mondo e rimase ammutolito e quasi stregato da ciò che i suoi occhi stavano vedendo. Non erano brutte o vecchie, come a volte aveva sentito nei filò, ma erano dolci, delicate, leggere ,fluttuanti, con voci armoniose e i lunghi capelli , a lui sembravano bellissime anche se non poteva vederle completamente perché erano immerse nell’acqua per buona parte del corpo. ( si diceva avessero zoccoli da capra). Rimase lì a guardare quell’inconsueto spettacolo e una di loro catturò la sua attenzione : era piccola, minuta, ma le sue movenze erano dolci e sensuali, più di tutte le altre: I suoi lunghi capelli erano biondi e tutti ondulati e sembrava danzassero con lei in modo armonioso. Dopo un po' di tempo le vide uscire, avviarsi per il sentiero, passare per il paese e inoltrarsi, passando per il bosco, verso la loro “scaffa”. Ritornò a casa e quella notte non riuscì a prendere sonno tanti erano i suoi pensieri e le sue emozioni. L’indomani, preso dalla curiosità, decise di vincere la sua paura e di salire verso quel luogo, tanto proibito. Iniziò il suo cammino con le gambe che tremavano e , dopo una difficile arrampicata, si trovò in un largo spazio: si arrestò per capire se poteva continuare e, visto che il silenzio era rotto solo dal canto degli uccelli, decise di proseguire con prudenza e arrivò in uno spiazzo da dove si vedeva l’intero paese sottostante. Trovarsi lassù gli dava un senso di libertà, di gioia ma allo stesso tempo temeva di essere scoperto, imprigionato e chissà quale fine avrebbe fatto! Ammirò il suo paese, le piccole case, il torrente, le strade, le persone: da lì tutto sembrava più bello e luminoso! Proseguì fino ad arrivare ad una specie di costruzione: era come una gran palizzata che addossata alla roccia formava un sicuro riparo; tutta coperta d’edera e di piante di fiori colorati, quasi non si notava ,ma era certo che quella fosse la casa delle strane creature di cui tutto il paese era a conoscenza ! Avrebbe potuto vantarsi con i suoi amici di essere stato fin lassù, di aver visto la loro dimora e di averle viste giù al torrente..,ma mentre quei pensieri gli facevano compagnia, sentì ancora quelle voci, quel fruscio e, senza voltarsi prese la via del sentiero,inciampò, cadde a terra, rotolò velocemente fino ad arrivare quasi in prossimità delle case. Rotolando si era graffiato in più parti con “russari e spinari”che costeggiavano il sentiero, ma per fortuna nulla di rotto, nulla di grave.. sarebbe stato imbarazzante raccontare quella stupida caduta! Passarono i giorni e Giovanin ogni notte tornava al torrente e aspettava l’arrivo delle Anguane, ma senza esito: sembravano scomparse! Una notte, dopo una “brentana”, il torrente Astico era diventato grosso e impetuoso e il rumore dell’acqua che scendeva tra i sassi si sentiva fin sù al paese e anche da lì metteva paura…Il giovane si avviò frettolosamente verso quel fragore: aveva piazzato una “rè” e voleva verificare se era ancora al suo posto o se la furia dell’acqua l’aveva portata via…Noncurante del pericolo, si avvicinò al torrente : dal giorno in cui aveva scoperto la casa delle “Anguane”, non aveva fatto parola con nessuno, nemmeno quando all’osteria, davanti a “un’ombra” di vino, i suoi amici volevano strappargli il segreto di tutti quei graffi, dei lividi che aveva sul corpo. Avevano fatto mille ipotesi: i graffi di un gatto o di una “tosa” che si era ribellata alle sue attenzioni… ma lui non si era fatto sfuggire nulla, nemmeno una sillaba di quello che gli era accaduto: era un segreto solo suo e così voleva che rimanesse. Il rumore assordante, in quella tarda sera, gli aveva fatto scordare le Anguane: quella non era certo una notte per fare il bagno, pensò raggiungendo le rive di quel torrente diventato come un enorme fiume… salì con attenzione sopra un grande masso: l’impeto dell’acqua trascinava nella sua corsa tronchi, rami, pezzi di legno, muschio e tutto quello che riusciva a strappare nel suo percorso.
Una notte dove sarebbe stato saggio restarsene a casa, pensò Giovanin scrutando intorno a sé e decise di fare ritorno al paese: della sua “rè” non c’era traccia, inghiottita , trascinata, strappata chissà dove! Ma, posando lo sguardo più a valle, qualcosa di strano catturò la sua attenzione. Tra le onde grigiastre vide una donna che cercava in tutti i modi di aggrapparsi a qualcosa, era impigliata in qualcosa, mentre la corrente sembrava trascinarla sempre più lontano. Non ci pensò due volte, si gettò in acqua e cercò di arrivare prima possibile per cercare di salvare quella giovane che con gli occhi colmi di disperazione , cercava aiuto. “Solo un’incosciente può agire così” pensò in un attimo di lucidità, ma si aggrappò ad un albero e cercò di prendere la sua mano per tenerla salda e trascinarla verso riva. Ma più di un tentativo andò a vuoto e si sentì perduto…radunò le forze rimaste e con un ultimo sforzo riuscì ad uscire da quell’inferno d’acqua scura. Prese la ragazza tra le braccia e la distese in un prato vicino, poi stremato si gettò a terra per riprendersi dallo sforzo e dallo spavento. Respirando a fatica realizzò che era stato fortunato, che con il torrente in quelle condizioni, non era facile uscirne vivi e ringraziò Dio e tutti i Santi per averlo protetto! Ad un tratto sentì un gemito e la ragazza si svegliò e lui riconobbe l’esile giovane dai capelli ondulati ; posò lo sguardo sul suo bel corpo: aveva addosso pezzi della sua “rè” ma con stupore si rese conto che… aveva gli zoccoli da capra, quindi… era un’Anguana!!!! Il suo primo istinto fu quello di fuggire via velocemente( sapeva dai racconti cosa gli sarebbe successo), ma si sentì prendere dolcemente per la mano e la giovane gli parlò con voce delicata e tremante. “Ecco- pensò il ragazzo -ora mi fa un incantesimo o i trasforma in pietra o chissà che altro!!”Ma non fu così, no, la ragazza per ringraziarlo del suo coraggioso gesto, gli promise che non avrebbe fatto nulla contro di lui in alcun modo, ma che lui doveva farle una promessa: non parlare mai con nessuno di quel loro incontro! Dolcemente si avvicinò al suo corpo e accarezzandolo gli posò un dolce bacio sulle labbra, mentre lui, estasiato, non riusciva a muovere un muscolo, a pronunciare parola e non si capacitava di quello che gli stava accadendo. Quando ritornò in sé fece la sua promessa ma chiese di poter rimanere con lei, incontrarla, starle accanto, esserle amico…ma tutto questo non era possibile: lei era una creatura fatata che viveva tra boschi e corsi d’acqua, la loro storia era destinata a finire lì ! Si allontanarono dal prato ognuno per la sua via, con la tristezza nel cuore di chi aveva avuto la certezza che non ci sarebbe stato futuro…
Giovanin tornava sempre in quel luogo, dove riviveva momenti tragici ma anche stupendi :non rivide mai più la sua Anguana ma nel prato dove l’aveva deposta dopo averla salvata dalla furia dell’Astico, era rimasta sull’erba la sagoma del suo corpo e vicino anche quello suo, segno dei pochi momenti di magia che avevano passato insieme. Il segreto rimase sempre custodito nel suo cuore e, quando sentiva parlare delle Anguane e delle loro stregonerie, sorrideva perché solo lui sapeva di aver avuto la fortuna di conoscerne una, di averla salvata grazie alla sua “rè”, di essere stato baciato da lei senza che gli fosse accaduto nulla di tragico e terribile!

Chissà se Giovanin, col passare degli anni, avrà raccontato ai suoi figli o ai suoi nipoti la sua fantastica storia o se questo segreto lo sappiamo solo noi?


Lucia Marangoni

domenica 25 marzo 2012

I giorni dell'arcobaleno


Sospinti dal vento, vanno i giorni verso l’infinito…
Ogni alba è una promessa di una nuova possibilità,
di un’avventura da vivere in pieno…

mentre a ogni tramonto è la consapevolezza
che il tempo passa inesorabile, portandosi via i giorni migliori…

Ogni giorno ha un suo colore,
ogni pagina scritta ha il suo valore,
ogni esperienza è un insegnamento di vita.


Giorni pieni di ogni tinta,
giorni con spruzzate di giallo,
con pennellate d’azzurro,
con macchie di verde, con righe di rosso..
Colpi di luce arancione,
onde spumeggianti di blu,
profumo intenso di viola…

Quanti giorni pieni di Arcobaleno!

Il fatto è, che quando li viviamo,
non ci accorgiamo dei colori che ci avvolgono,
che ci riempiono la vita….

E’ solo quando tutto si tinge di colori cupi e scuri,
di nuvole piene di dolore, di tempeste che distruggono
e ci sentiamo come dei naufraghi in cerca di un riparo,

solo allora…
apprezziamo veramente tutto quello che di colorato abbiamo vissuto.

sabato 24 marzo 2012

Voci nel silenzio




La luce del giorno si è spenta
il sole più non riscalda,
i gioiosi canti sono finiti…

Chiudo gli occhi e mi immergo…
assaporo pienamente
quello che i sensi mi fanno sentire…

Mentre sono qui “in ascolto”
non posso fare a meno di pensare
quanto si perdono
coloro che non riescono a fermarsi
e ascoltare le voci del Creato.



Occhi che si riempiono di tutte le tonalità del verde,
orecchie che odono melodie e canti serali,
mentre una brezza leggera si posa sul mio corpo
portando con sé
gli odori e i sapori dei prati, dei boschi…


Mai mi stancherei di stare qui in ascolto,
riempirmi di tutto questo mi fa star bene…

Un passero si è attardato su un ramo,
ma è solo un attimo, un ultimo cinguettio…
presto nel suo nido troverà rifugio
e solo quando la luce del giorno tornerà,
il suo gioioso canto si mescolerà a tante melodie,
così da riempire tutta l’aria…


Una nuova giornata avrà inizio…


Lucia Marangoni

venerdì 23 marzo 2012

Documenti storici: Una croce come firma


Un tempo, mi dice Giorgio, nel foglio matricolare per l'arruolamento, c'era una domanda che chiedeva se la persona che stava redigendo il foglio, sapesse leggere o scrivere.
Questo perchè era abbastanza diffuso l'analfabetismo, la persona che non sapeva firmare poneva quindi una croce al posto della firma.
Per questo motivo gli atti, i contratti etc. erano redatti sempre in presenza di due testimoni che controllavano il documento.
La croce poteva essere fatta nel mezzo delle sillabe CRO + CE, oppure anche a parte e allora i testimoni attestavano Croce di.......
Gentimente concesso da Giorgio Toldo
Ho sentito molte volte che un tempo si firmava con una croce visto l'alto tasso di analfabetismo, però quando Giorgio mi ha fatto vedere un suo documento dal vivo, ne sono rimasto molto colpito.
Molto gentilmente Giorgio mi ha mandato una copia di questo documento che risale ai primi del 900 e che vorrei proporvi.


giovedì 22 marzo 2012

Mi a scrivo



Chi che fuma come un…turco,
chi beve par desmentegàre,
chi sbéca con tuti quanti
par podérse un fià sfogàre...
Chi se tégne tuto dentro,
ma… s’el s-ciópa…mama mia!
Chi che parla co n’amico,
ma...zè vero ch’el ghe sia?
Mì, sa gò i me pensieri,
sa gò problemi o questión,
co nà péna e un folio bianco,
scrivo zó le me emossión…
Mì a scrivo quel che me pare,
quel ca sento dentro de mì
e, credìme, fa manco male...
mì me sfogo proprio cussì!

Mì… a scrivo…

Lucia Marangoni

mercoledì 21 marzo 2012

Festa degli alberi


Vi proponiamo questa foto 
relativa ad una festa degli alberi
di parecchi anni fa.
Pur in bianco e nero...
a me sa trasmettere 
gioia e speranza...


Qualcuno si riconosce?

La festa dei àlbari (Gianni)

 Càpita che passando, a bùte l’ócio sui posti andóve che se nava a piantare i àlbari da scolari.
A vó a ùsma, sercàndo de rafiguràrme le piantà tute spótiche e galìve. Tiro i óci, ma tra ricordi nibià, russàri e franamìnti, no son pì bon de ciapàrme.
La rivàva puntuale e spetà, sul far dela primavera, la Festa dei Álbari, cuàndo che naltri tusi dele lementàri tacàvimu a ésser zà inchiéti e in ùsta de sole, gnari e libertà.
       Faséa ancora on fià freschéto, ma jéra la primavera che fava bausséte e l’ocasión de star on fià liberi. Beh…liberi se fa par dire...parvìa che l’organisassión jéra come la Todt e lóra i Maestri se faséa rispetàre. E sbrigà le varie serimónie…se podéa anca bagolàre fra de naltri e po’…ghe jéra le fugasséte de Pióna…e mìa sol che cuéle.
       Se tacàva zà setimàne  prima a preparàr la festa, parvìa che ghe sarìa stà le Autorità… Scolastiche, Civili, Religiose e anca Militari e bisognava far béla figura. Ocoréva che i ne spiegasse cossa che nàvimu a fare e insegnarne la cansón de circostansa:
 “…deeegli aaaalberi fiooritiii… cantiaam in coooro
teeenere piaaanticeeelle…creeescete riiigogliooose…”.
       A mì, tuto cuél palco el me paréa on fià trombón. A naltri no ócoreva mìa inculcàrne tante storie de riguardo par la natura...la ghìvimu in t’l sangue…anca se a modo nostro. La roba pì inportante jéra el fato che nàvimu fóra da scóla in on bel dì de sole e sensa grenbiólo. Jéra anca l’ocasión par métarse in spadìna, overosìpia molàre i magliùni de lana a féri e le braghe lónghe pal cànbio stajón…cofà le Suore e i Caràmba.
       Lóra se partiva…intrupà cofà al Sétimo Alpini, ma co on gràn casóto, óltra ai Rìghele…da Basso…int’i pré de l’Ăstego rente le Vasche e in altri posti a seconda dei ani.
Ghe jéra i ómeni del Comune, Emo e Secondo, che ghéa parecià le robe e tendéa le séste de Pióna, le gàbie de spuma che ghéa portà la Milia e màssima cuéle de vin Maculàn, posta par i adìti de l’organisassión e missi in fresca ala bisógna.
       Maestri e Maestre in ghìngari, el Prete in cóta e tricorno par la benedissión, la Forestale e ‘l presìdio dela Benemerita in banda bianca e scatoléta (ma cossa gavarài mai rénto in cuéla scatoléta…).
Jéra n’ocasión speciale ció!
       A mì, el fato che i busi fusse zà parecià...che biognàsse métare rénto cuéle piantine ciucià, a distànsa regolamentare…far la mossa de butàrghe sóra téra,  no me piaséa mìa massa.
Anca parvìa che i ghe lo faséa fare sempre a cuìli pì grande…e naltri lì, fermi cofà pandolóti, a cantare e ciapàrse na solàgna. Lóra spetàvimu che se ronpésse i ranghi e scumissiàsse la festa nostra. Jérimu sul nostro terén…lo conossìvimu come le nostre scarséle.
Dopo…l’assalto ale séste e ale gàbie…sóto le ociàde sotoscuarà de Emo… che’l jéra el capostradìn e ‘l tendéa tuto. Naltri tusi ghìvimu paura de Emo, parvìa che’l jiràva pal Paese in bici sempre pronto a smontàre, in cuél so modo stranbo, picà via sténco sul pedale sànco, vardàndo in volta cofà na pója e criàndone co’l ne vedéa zugàre co la roba del Comune. Stàvimu fermi solo el tenpo de slibàrse la fugasséta, el panìn e la spuma. Lóra anca Maestri e Autorità, saràva on ócio, anca luri in fondo jéra stà bóce, e magari anca Balìla…che lóra no i bagolàva mìa massa.
       Jéra gran bélo stare nei prà, sóto el sole che tacàva scaldare, nela natura che se stava svejàndo...a córerse drìo, zugàre a spussa alta e bassa, a cucóto e varie altre móche nostre.   
Tornàvimu casa tuti roàni, mùnti e sbuelà.
       El giorno drìo saìvimu zà che dovìvimu fare el tema o i pensierini, esprimere le nostre emossión…far védare ca ghìvimu capìo el spirito dela Festa.


Gianni Spagnolo

Festa degli alberi (Lucia)


21 marzo: La festa degli alberi



Già dai primi di marzo, a scuola si cominciava a parlare della festa degli alberi.
Ogni classe, con il proprio maestro o maestra, iniziava a imparare il canto che veniva ripetuto ogni giorno: si doveva fare bella figura! La festa degli alberi era un’occasione speciale per riunire tutte le scuole sparse nelle varie frazioni; era un motivo per noi delle Contrà, di fare un giretto e di vedere tanti bambini come noi, con il loro grembiule nero, colletto bianco e fiocco celeste o rosa.
Arrivavamo a San Pietro un po’ spauriti e timidi, restavamo tutti vicini quasi per proteggerci e non perdevamo mai di vista il maestro che, con fare autoritario dirigeva ogni nostro movimento.
Quelli più discoli, non perdevano occasione per fare qualche bella litigata…
Si cantava tutti insieme, allineati, composti e attenti e poi, chi era stato scelto, andava a piantare gli alberi nel luogo stabilito con una solennità che ora è difficile da capire.
Il mio ricordo più limpido è di quando il luogo per questo incontro veniva organizzato nella pescheria di Ferruccio Stefani. Ricordo il grande vólto di sassi e, forse perché ero piccola, tutto mi sembrava gigantesco. E le focaccine che ricevevamo in dono? Una vera delizia! Un momento dove, quel piccolo dolce veniva gustato, assaporato lentamente e piacevolmente perché i dolci che conoscevamo erano quelli fatti dalle nostre mamme, mentre quella focaccina, ci faceva sentire l’arrivo della primavera e la prossimità della S. Pasqua.
Dopo i momenti di silenzio composto, le voci gioiose dei bimbi risuonavano tra quei verdi prati e quei muri, portando una ventata di allegria per tutti i partecipanti, ragazzi, maestri e autorità presenti.
Il giorno seguente… inevitabile il titolo del tema: La festa degli alberi ! E lì ognuno, con le diverse sensazioni, poteva veramente raccontare la sua giornata piena di ricchi particolari: una giornata diversa , attesa con entusiasmo e trepidazione. Ora mi restano tanti ricordi, a volte lucidi, a volte offuscati.
Parlando con altre persone con qualche anno più di me ho capito quanto questa semplice festa fosse un modo per incontrarsi e fare qualcosa di diverso e sia ricordata con gioia. Con la speranza che qualcosa di tutto questo possa tornare, ho voluto condividere con voi qualche semplice ricordo.

Lucia Marangoni

Primavera



Mi sembra di capire…

Dalle movenze leggiadre

del tuo camminare,

dalla dolce inquietudine

del tuo sguardo,

dal sorriso

chi ti fiorisce sulle labbra,

dalla luminosa freschezza

del tuo volto,

dall'infantile disordine

dei tuoi biondi capelli,

dall'ondeggiare

dei tuoi vestiti chiari,

dai pensieri leggeri

che ti danzano nella mente,

dai palpiti di sole

e dal profumo dell'aria,

mi sembra di capire

che la primavera è vicina.

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“el Doge”

martedì 20 marzo 2012

Coscritti 1926


Ecco una foto storica. Qualche anno fa l'avevo
pubblicata sul GLOBO (giornale italiano di Melbourne) con una descrizione e anche i nomi che mi erano stati dati (assieme alla foto) dalla signora Lorenzi Concetta (circa 88 anni) che abita
qui a Melbourne, originaria dai Costa ed ha ancora
una nipote ai Fodati. E' molto in gamba.
Io riconosco qualcuno, ma se la mostri a qualche anziano del paese ti saprà dire chi sono.
Germano Spagnolo

lunedì 19 marzo 2012

La preghiera dell'emigrante

Papà... pur avendo da qualche tempo la mente offuscata... quando lo solletico perchè mi reciti le poesie che ha imparato a scuola, circa 80 anni fa..., è sempre disponibile e non sbaglia una parola.
Tutto orgoglioso e gongolante alla fine, nel sentirsi dire: 
Bravissimo! Mi' no gò la to memoria...
Mi permetto di proporvele, visto che il blog mi offre la possibilità di questo piccolo omaggio.

Poesia - San Giuseppe



A tutti i Giuseppe
che visitano il Blog
Auguri
dalla Redazione


19 marzo 2012
San GIUSEPPE


San Giuseppe vecchierello
tó la fassa e ‘l panesélo
par infassàre Gesù bélo
Gesù bélo, Gesù d’Amore
par infassàre Nostro Signore
Nostro Signore nól vól dóta
ma l’anima devota
San Piero con le ciàve
sécula seculòrum
Amen.


“frégole de ricordi”

de Bepi classe 1925
– Casa di Riposo –
de San Piero

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...