venerdì 31 maggio 2019

La grande Rogazione di Asiago

Conosco il profumo dei ciliegi della Val Piana a Foza, il vento che accarezza Lusiana, la grandezza dei noci dei prati di Conco. Ho amici, che attendono la nostra allegria, alle Fosse di Enego. Distinguo il suono delle campane di Cesuna da quello delle campane di Canove o di Treschè Conca. So la profonda vastità della Val Frenzela a Gallio. Sento il tiepido sole, prima di tutti gli altri soli, della riviera di Roana e Mezzaselva. Bevo l’acqua delle fonti ai Lamara di Asiago, e conosco i prati, verdi e larghi, alle Ave. Sono di Rotzo ma sono vissuto, da sempre in altopiano. C’è un solo giorno in cui non mi sento asiaghese: e questo è il giorno della Grande Rogazione. La faccio da quando, ragazzo al liceo, fui invitato, come avviene, dai compagni di classe a fare questo cammino assieme a loro nella gioia euforica dell’adolescenza. La faccio sempre, sentendomi accettato ma “foresto” nell’anima. Perché la Rogazione è il giorno di Asiago, degli asiaghesi. E’ l’anima della gente di Asiago. I canti a Dio sono i “loro” canti, ai quali può unirsi, certo, ogni uomo, ogni donna di buona volontà ma, prima, sono i “loro” canti le “loro” litanie. E le litanie di chi, asiaghese lontano nel mondo, torna oggi col pensiero ai prati attraversati da mille anime paesane, ai fiori gialli del tarassaco della “salata” all’erba umida della radura davanti ala chiesa di san Sisto, al Lazzaretto. La Grande Rogazione è l’anima della Gente di Asiago alla quale ognuno può affacciarsi con attenzione e col rispetto di chi trova già grande il privilegio di potervi partecipare. Domani la Gente di Asiago avrà, ancora , la sua Grande Rogazione. Domani, e solo per domani, i “foresti per un giorno” come me potranno sentirsi ospiti in Asiago che, solitamente è invece terra quotidiana, vissuta, conosciuta e amata.
Lucio Spagnolo


Coltivando pomodori



(Granfati-Mariano Castello)

giovedì 30 maggio 2019

Dàghe de doja!


[Gianni Spagnolo © 190525]
M’è sempre piaciuto trapolàre col legno, fin da bambino. Allora giravo con l’inseparabile coltello a serramanico in tasca, come tutti del resto. Serviva per molteplici usi: decorare bastoni, far fionde, archi, frecce, trappole, bàiti, bachetùni e mille altre robe. Di riflesso anche sotto naja alpina, quando si voleva negare qualcosa, si diceva sarcasticamente alle burbefàtelo de legno! 
Porto ancora sulle mani le cicatrici di quegli apprendistati e ne ricordo una per una le circostanze. Era una passione di famiglia, dato che anche mio nonno e mio padre amavano lavorare il legno. Mio padre poi era particolarmente abile con l’ascia: grazie alla pratica giovanile di necessità e all’arte di carpentiere, riusciva a fare con la scure lavori che normalmente necessitavano di utensili ben più specifici. Anche con il sasso se la cavava bene; lo squadrava con pochi azzeccati colpi riconoscendo ad occhio le microscopiche venature della pietra, che io neanche vedevo. Avevo sei o sette anni quando ricevetti in regalo la mia prima scure: era un residuato bellico, ricavata da un’ascia da pioniere; piccola e maneggevole, adeguata alla mia taglia. Con quel menarotèlo cominciai ad esercitarmi a spaccar la legna da ardere e mi divertivo un mondo a fendere con un sol colpo i piccoli tronchetti di faggio e carpine o più ancora quelli di abete, leggeri e dalle venature diritte. Il mio cruccio erano però i nodi dei pezzi più grossi, che impedivano l’immediata fenditura e mi costringevano ad estenuanti ribattute alternate a laboriose operazioni per estrarre la lama incastrata. Mio padre osservava sornione i miei armeggi lasciandomi fare. Fin quando mi contorsi nell'ennesimo tentativo di disincagliare il tagliente serrato nel legno, fu allora che m'incitò: Dàghe de doja! 
Al mio sguardo interrogativo e un po’ ebete, mi prese dalle mani la scure con il pezzo incastrato e la sbatté sul sòco dalla parte opposta alla lama, provocando l’immediata fenditura del legno in due belle stèle proiettate vigorosamente ai lati. “Co te vidi che no la va de péna, biòn che te ghe dai de doja.” Mi disse sorridendo.
Eccitato dalla scoperta mi addestrai in quella nuova tecnica, anche se a volte non riuscivo a gestire bene l’operazione perché il manico del menaròto mi scivolava fra le mani per il peso sbilanciato, vanificando il colpo fatidico. Gradualmente acquisii maggior abilità, ma c’erano dei nodi ostici che non riuscivo a spaccare in nessun modo e allora passavo mestamente l’incombenza a mio padre, pensando che fosse solo una questione di forza fisica. Fu lì che lui mi fece avvicinare al cumulo di legna e mi spiegò l’importanza di osservare bene i pezzi da spaccare, riconoscere il tipo di legno e le sue diverse caratteristiche, l’andamento delle vene e la struttura dei nodi prima di decidere come affrontarli. Poi mi disse che per spaccare certi gròpi era necessario: “Dàrghe séco intî corni.” L'operazione consisteva nello sferrare il fendente direttamente sui nodi del legno messo in posizione coricata e non verticale e me ne mostrò l'efficacia sul pezzo sul quale m'ero appena incaponito, che infatti si divise magicamente in due al primo colpo. 
A xe come par le rogne!” disse. “Serte le va destrigà co le molesìne,  altre biòn dàrghe de doja, invesse cuéle pì incatijà biòn ciapàrle a muso duro e bareta fracà, co na bela stéca intî corni.” Come Alessandro con il carro di Gordo, dunque, anche se quest’analogia la scoprii più avanti. Ecco che allora la mia abilità di spaccalegna si perfezionò con una preventiva analisi della struttura del pezzo da rompere e una più efficace scelta delle modalità d’intervento. Spesso era necessario combinare le diverse tecniche per riuscire nell’intento.
Diventato poi adulto in contesti meno rustici, ebbi l'occasione di partecipare a numerosi corsi di aggiornamento. Allora via con: Situation ManagementLean thinkingKaizen, ecc. dove ti spiegavano come ottenere la massima efficacia negli schemi organizzativi e nei processi industriali applicando ampiamente il lateral thinking, con  proiezione di slide, istogrammi, flow chart,  casistiche di successo e relative didattiche.
Mi veniva da sorridere al pensiero che quei concetti li sapevo già fin da bambino. Me li aveva insegnati mio padre, senza tanti paroloni, usando semplicemente un menaròto e dei pezzi di legno. 

Doja: parte superiore dell’occhio della scure opposta al tagliente, utilizzabile come mazza. Dovrebbe derivare per analogia dal veneto dovo, dojèlo (giogo). 
Dàrghe intî corni: soluzione draconiana di un problema, derivante verosimilmente dalle modalità di abbattimento del bestiame grosso tramite una mazzata frontale, come avveniva prima dell'uso dei trombini a proiettile captivo.

Lateral Thinking (Pensiero laterale)Modalità di risoluzione di problemi logici che prevede un approccio particolare, ovvero l'osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema.


Basta un po' d'immaginazione ...


Ricordando un pensiero di Sòf'ja Andrèevna Bers (1844–1919), scrittrice russa e moglie di Lev Tolstoj:
  •   Come sempre succede, tutti abbiamo una immaginazione ricca e una vita povera. Immaginare si può tutto, migliaia di mondi diversi, vivere bisogna nel cerchio più ristretto.   



Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...