domenica 30 giugno 2013

Ai miei tempi...



  1. la nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quanto un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori

  1. non ho più speranza alcuna per l’avvenire del nostro paese se la gioventù d’oggi prenderà domani il comando perché è una gioventù senza ritegno e pericolosa

  1. il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori. La fine del mondo non può essere lontana

  1. questa gioventù è guasta fino in fondo al cuore. Non sarà mai come quella di una volta. Quella di oggi non sarà capace di conservare la nostra cultura

  1. oggi il padre teme i figli. I figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima dei  genitori. Ciò che essi vogliono è essere liberi. Il professore ha paura degli allievi; gli allievi insultano il professore; i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani; gli anziani, per non apparire retrogradi o dispotici, acconsentono a tale cedimento e, a corona di tutto, in nome della libertà e dell’uguaglianza, si reclama la libertà dei sessi.



Ma… di chi sono queste frasi? 
Di qualche genitore amareggiato di oggi o scrittore contemporaneo?

No! Assolutamente no!

La prima frase è di Socrate (filosofo greco 469/399 prima di Cristo)

La seconda è del poeta greco Esiodo (720 anni a.C)

La terza è di un sacerdote egiziano vissuto 2000 anni prima di Cristo

La quarta è stata scoperta da poco in una cava di argilla tra le rovine di Babilonia ed avrebbe più di 3000 anni

La quinta è tolta dal libro “la Repubblica” di Platone (vissuto dal 428 al 347 a.C.)


Quindi: nulla di nuovo sotto il sole! Amiamoli i nostri “giovani” restando noi stessi, con il nostro patrimonio di vita vissuta e con la nostra forza e gioia di vivere, forse è il modo migliore per trasmettere loro ciò di cui han bisogno per il loro cammino.
Ada

Le dita sporche d'inchiostro




























venerdì 28 giugno 2013

Avvenimenti eccezionali del 1900


Durante il 1900 non ci furono solo le due grandi guerre, quella del  "15-18" e quella del "40-45" a portare pene e dolori nella nostra Valle.

Altre catastrofi naturali colpirono gli abitanti a volte inermi contro questi avvenimenti. 
Le annate subito dopo la prima guerra mondiale furono feconde con abbondantissimi prodotti della terra sia perchè, abbandonata a se stessa per cinque anni si era ben riposata e anche perché in montagna e nei dintorni del paese, vi erano dei veri letamai lasciati dai cavalli dell'esercito austriaco.
Ma ecco una prima disgrazia:  La FILOSSERA che si infiltrò nelle  viti e le distrusse (il male si diceva allora, sta nelle radici). Fu fatto ricorso a nuove piantagioni di viti selvatiche, resistenti al male, per poi innestarle con vitigni di classe superiore che davano del buon vino.
Ci lamentiamo di questo anno  un po' bizzarro, con primavera inesistente, pensate che il 18 giugno del 1923 una STRAORDINARIA NEVICATA coprì le nostre montagne. 
Mi raccontò mio zio che verso le dieci si trovò ai Baise con trecento e passa mucche fuggite dalle malghe giù per la Singéla. I vaccari corsi a recuperarle ebbero il loro bel daffare per riprenderle e riportarle sù.
Quello però che più metteva in apprensione le popolazioni erano LE FREQUENTI ALLUVIONI. 


Nel settembre del '24 un ciclone si abbatteva sopra i monti della Torra,

della Val dei Mori e della Val del Chestele (o de Menegosto), rotti i muri di riparo, acqua e fango invasero i terreni agricoli e le abitazioni.

Anche  l'Astico non era da meno, nel maggio del '26 un'eccezionale BRENTANA asportò  la strada sopra il Maso, riversando sui terreni adiacenti enormi quantità di materiale, distruggendo le rogge delle segherie, travolgendo i ponti del molino Toldo e di Basso e sotto la Sega Nova, si aprì un varco tra i prati.

L'alluvione più grave e pericolosa fu quella dell'ottobre '34. 

Un violento nubifragio scaricò nelle solite tre valli  un cumulo enorme di sassi e ghiaia.

La Val del Chestele, precipitò nell'asilo, invadendo il pianterreno ed il cortile. La gente accorsa riuscì ad incanalarla evitando così che il torrente minaccioso portasse via anche le case. 

Nella Valle dei Mori, nella  sua sorgente erano cadute trombe d'acqua d'una forza  tale che nel terreno mobile avevano scavato un fosso di dieci - quindici metri di profondità per una larghezza di trenta - quaranta metri. Tuttora si vede la ferita nella montagna; tutto questo materiale fu convogliato giù per la stretta valle. Nel salto sopra il  pozzo dove i primi abitanti dei Lucca attingevano l'acqua, a duecento metri sopra la prima casa, l'insieme di ghiaia sassi ed acqua arrivava con una forza tale che finivano nei campi sottostanti. 

Si racconta che Bepi Mardemin che si trovava nel campo per salvare i pérseghi, fu chiamato da suo padre, ma, sprezzante del pericolo, gli rispondeva: "pupà ze quij dala pasta giala"... 
In poche ore i terreni che pur si trovavano cinque metri più bassi della strada furono riempiti come si vedono oggi. 
La curva della vecchia Singéla cominciava a cedere. Se la Valle si apriva la strada, addio ai Lucca!!!

Gli uomini presero i segùni e le menàre e in poco tempo le do nogare de Lussiàno e le do sieresàre dei Baise dela Strigia Longa si trovarono attraverso la strada lungo el salìso che scendeva dalla volta de Menonce. Nessuno potè calcolare quanto materiale fu trascinato alla Dogana che ne rimase invasa per parecchio tempo.   

Vidi questo avvenimento, lo vissi e mi rimase impresso per la vita.
Finalmente qualche anno dopo il Magistrato delle acque ed il comune misero in opera lavori per arginare i torrenti:  LE DIGHE.
Lino Bonifaci

martedì 25 giugno 2013

Avviso

Cari Amici ciao





nel periodo estivo 
il Blog Bronsescoverte 
NON va in ferie.

Molti di voi invece ci andranno e anche qualche Autore.
Il periodo di luglio ed agosto poi, è notoriamente dedicato ad altro: 
al relax, allo star fuori casa, agli amici, al dolce far niente, alle cene conviviali. 
Proporremo cosette meno impegnative, ma ci saremo comunque ogni giorno a tenere compagnia a quelli che in ferie non vanno o a quelli che guardano di più il blog proprio perchè in ferie.

Comunque, 
sia a quelli che partono... 
che a quelli che restano...

la Redazione di Bronsescoverte


Ritorno a Camelot

                                                                                                                            
Il nonno scartò il pacco e lesse subito il titolo: ”Ortigara 1917”. Lo girò e disse ad alta voce il nome dell’autore: “Gianni Pieropan“. Aprì il libro a metà e con un leggero sospiro tentò di leggere qualcosa, una riga, forse due, ma si fermò subito, disse: “prova tu nipote a finire la pagina, senza occhiali non ci vedo. Il ragazzo prese il libro e iniziò la lettura di una pagina: ”Notte sul 25 giugno la montagna freme impercettibilmente, non potendosi sottrarre del tutto al solletico praticatole da un chiar di luna impertinente”… fermo, fermo,  ho già capito,  siamo la notte … quella tragica notte ... ma te la voglio raccontare io e poi leggiamo il libro.  

Il nonno si distese in poltrona e iniziò il racconto: 

Terminato l’addestramento,  alla caserma S. Silvestro di Vicenza, mi mandarono subito a malga Moline con un reparto di telefonisti, imparai a stendere i fili del telefono da campo. Era primavera, ma faceva sempre freddo, le mani sempre gelate, andare avanti e indietro a stendere fili, col rischio di prendersi una fucilata sai che bellezza. All’inizio di giugno del 1917 sapevamo che mancava poco all’offensiva, eravamo in tanti, che baraonda, che confusione, ma sempre calmi e ben addestrati. 

Fu in quei giorni di attesa che conobbi un alpino di nome Lauro, ogni volta che lo incontravo diceva: “bisogna star bassi senò no tornémo a Camelot”. Voleva dire di stare sempre attenti altrimenti non si torna a casa sani. Camelot era il castello di re Artù e per lui significava casa. 

Più tardi seppi che Lauro era di Castelletto, un paese sopra la Valdastico e capii perché chiamava il suo paese in quel modo. La mattina del 10 giugno, tutti pronti, tutti a guardare le montagne davanti alle nostre linee; tra la nebbia ogni tanto si vedeva il Portule, il Gumion, le cime Dodici e Undici, il monte Chiesa, Campigoletti e davanti l’Ortigara. La nostra artiglieria stava coprendo tutto di polvere, di fumo, così tra la nebbia e il resto non vedevamo più niente; in quel clima di tragedia noi telefonisti  stavamo in attesa, dietro ai reparti che dovevano uscire dalle trincee finito il bombardamento. Alle tre del pomeriggio di quella domenica cessò l’attesa, fuori, via di corsa verso gli obbiettivi assegnati a ciascun battaglione, io dovevo seguire il comando del battaglione Sette Comuni che stava attaccando la quota più alta dell’Ortigara. Il mio amico Lauro lo vidi sparire, inghiottito dalla nebbia. Dopo momenti infiniti di tensione dovetti partire con il cavo telefonico verso la baita,  nel vallone tra noi e i nostri avversari, tra scoppi e fischi di pallottole, riuscimmo a tendere il cavo,  dalla baita fino ai roccioni sotto la cima. Lì prendemmo un temporale che ci bagnò fino alle ossa e calata la notte rientrammo nelle trincee del monte Lozze. Il rientro fu per me terribile, al chiaro di luna che illuminava la valle, il sangue diventa di colore nero come la pece, mi accorsi di perderne da un piede, un colpo fortunato che mi mise a riposo per una settimana. Nel frattempo riuscirono a mettere piede sulla cima e la notte del 24 ero guardia fili a ridosso di una trincea fatta con sacchi di terra. Tutto era tranquillo anzi, forse troppo, le pattuglie rientravano senza nessun problema, silenzio assoluto, poi verso le due di mattina tutta la montagna divenne un vulcano… Il bombardamento durò dieci minuti non di più, ci fu una tale confusione che alla fine mi ritrovai sommerso di ghiaia e terra, la fortuna mi sorrise e seguendo il filo del telefono raggiunsi dei ripari sotto la cima e ci rimasi per quasi tutto il giorno. La sera, al calar del buio, rientrai a monte Lozze e dopo essermi sistemato un po’ dovetti subire una lavata da un capitano dei bersaglieri; mi accusava di aver abbandonato il campo di battaglia senza ordini, voleva mandarmi davanti a una corte marziale. 

La faccenda si metteva molto male e alla fine giù in Marcesina allestirono per me e altri un bel processo. Accusato di diserzione davanti al nemico rischiavo la pena di morte, dovevo assolutamente uscire da questa farsa, ma trovare il modo non fu facile. La fortuna mi venne incontro, quasi tutti gli stendifili erano fuori combattimento e una guardia della nostra baracca era Lauro da Castelletto,  il quale mi disse di aver sentito che servivano in linea tutti i telefonisti disponibili. Si aprì una piccola luce di speranza, ma ricordo di essere stato talmente stanco e confuso che la sentenza nei miei confronti, la sentii come da lontano, la pronunciò un ufficiale di nome Gino Salotti: un anno di reclusione a Peschiera del Garda da scontare a guerra finita. Arrivarci alla fine fu il mio primo pensiero, comunque il fato volle così, la fine la vidi e anche Peschiera o almeno il carcere militare. Dopo sei mesi tornai a casa, gli altri se, un condono speciale se li portò via, del mio amico nessuna notizia certa. Disperso in zona Ortigara fu il responso della burocrazia militare. 

Intorno agli anni trenta, con una corriera sgangherata, andai a Camelot alla ricerca di Lauro e ancora una volta la fortuna mi sorrise; tra noi solo poche parole, i nostri sguardi parlavano molto di più. 

Il nostro incontro finì sereno e cordiale e prima di salire in corriera  mi strinse la mano e mi sussurrò: ”non bisogna permettere che si venga giudicati da chi sta col culo al caldo tutto il giorno”. Subito non la capii, ma ripensando alle mie avventure belliche gli detti ragione. 

Quindi caro nipote leggi pure il libro, ma poi vai sù in Ortigara, magari fatti un due giorni  in tenda e in piena notte ascolta il silenzio della montagna. Forse una leggera brezza ti porterà dei canti e se sentirai dei passi leggeri e soffici dietro di te non temere, sono quelli che rimasero là, per sempre, custodi di quel mondo lontano nel tempo, così imparerai che non devi ascoltare quando ti parlano, ma devi ascoltare quando ti guardano.

Piero Lorenzi

Foto della Grande Guerra

Arsiero vista da Forte Corbin
dal Monte Cimone veduta su Schiri
1916 - Arsiero davanti la chiesa

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...