venerdì 30 novembre 2012

Dal sojo de medojorno

dal Sojo de medojorno




novembre 2012







Non sono ancora terminati i lavori da Piazza Roma al Cimitero. Per lavori di ristrutturazione è chiusa ora anche la Posta fino al 10 dicembre; sono aperti gli uffici di Pedescala e Pedemonte. 
Vi terremo informati.




 



Il 9 a Pedescala, il 23 a Forni e il 30 a San Pietro ci sono state tre serate sulla natura con i nostri fotografi, promosse dal Blog. Avete partecipato numerosi e ci avete espresso anche la vostra soddisfazione. Vi ringraziamo di cuore.




I







Battesimo





il 25 novembre ha ricevuto
il Santo Battesimo a San Pietro 
il piccolo Leonardo Pellizzari
di Juliana e Giorgio
(il primo di Don Francesco)






 


Vi ricordo le ultime due giornate per dicembre 
 del mercato a Forni: 
il 16 e il 23 (quest'ultima giornata tutto il giorno)








quello che tu sei io ero, quello che io sono tu sarai
Non sono più tra noi:
Stefanina Lorenzi 
di anni 65
(deceduta il 3 novembre)

Perla Lorenzi di anni 87

(deceduta il 17 novembre)












Vi ricordo che avete ancora pochi giorni per iscrivervi.

Le modalità le trovate ogni giorno nella pagina iniziale del blog!






 







Questo mese a San Piero purtroppo... 
anche ospiti indesiderati... Qualcuno si è intrufulato nelle case... qualcun altro nel pollaio facendo razzia... (le oche però...sono uscite indenni...), ma mentre per quest'ultime visite siamo anche abituati e non si può andare contro natura... per le altre siamo rimasti un po' tutti sorpresi... e speriamo non abbiano più a ripetersi.




                                  

 VALDASTICO CALCIO
 (a cura di Walter Jona)



 4 - 11      riposo
11-11       sospesa per cattivo tempo 
18-11       VALDASTICO/SAN TOMIO ASD
                3-0 (Lorenzi Mirco-Lanaro Francesco-Toldo Marcello
25-11        PONTE DEI NORI/VALDASTICO
                1-1 (Campanaro - Lorenzi Mirco)   



 
Alla fine del mese do "altri" numeri...














Totale visualizazioni 
dal 9 febbraio al 30 novembre  87.056
solo il mese di novembre         15.231
(+ 2776 rispetto ad ottobre)

LA TOP TEN DI NOVEMBRE
In ordine decrescente:
ITALIA                                            
FRANCIA                                        
GIAPPONE                                    
AUSTRALIA                                    
STATI UNITI                                    
GERMANIA
FEDERAZIONE RUSSA
INGHILTERRA
SVIZZERA
BRASILE 

la foto del mese









io credo che lo scoiattolo sia talmente entrato in sintonia col nostro GNATA...che riesce perfino a tòrlo de berta...





i consigli della Nonna

Per fare una bella polentina senza grumi, portate a bollore l'acqua, la salate, e spegnete la fiamma. Versate a pioggia la farina e solo quando avete finito, riaccendete la fiamma per portarla a cottura.









Quando che na persona la zé stimà, la pol pissàre in léto e dire che la gà suà
(quando una persona è importante può anche pisciare a letto e sostenere che ha sudato)





El cònta come el dò de còpe co la brìscola zé a spade


(quando una persona non conta nulla)







Quattro cose 
non tornano mai indietro:

* una pietra dopo che l'hai lanciata
* una parola dopo che l'hai detta
* un'occasione dopo che l'hai persa
* il tempo...dopo che l'hai sprecato







... il 16 dicembre l'IMU...


 





 

venerdì 7 dicembre alle 20.30 Vi attendiamo numerosi al Teatro di Forni per la presentazione del libro di Gino, qui a margine ben illustrato.
Allieteranno la serata: 
" i Valincantà " 









un fià de bàgolo...
Una donna entra in farmacia:
- Per favore, vorrei dell´arsenico.
Trattandosi di un veleno letale, il farmacista chiede informazioni prima di accontentarla.
- E a che le serve, signora?
- Per ammazzare mio marito.
- Ah! capisco... però in questo caso purtroppo non posso darglielo!
La donna senza dire una parola estrae dalla borsetta una foto di suo marito a letto con la moglie del farmacista.
- Le chiedo scusa signora, bastava dirlo che aveva la ricetta!









giovedì 29 novembre 2012

Spignatando - torta di riso


Ingredienti:
200 gr. di riso
250 gr. zucchero 
5 uova
1.5 litri di latte
50 gr. burro
la scorza grattugiata di un limone
sale 
zucchero a velo


In una pentola portate ad ebollizione il latte avendo prima aggiunto una scorza di limone e un bicchiere d'acqua. Versate quindi il riso e cuocetelo al dente, mescolando di tanto in tanto.A cultura ultimata, spegnete il fuoco e aggiungetelo zucchero e mescolate energicamente. Lasciate raffreddare il composto così ottenuto nella pentola di cottura. Aggiungete poi i tuorli d'uovo e mescolate fino al raggiungimento di un composto omogeneo. Versate l'impasto in una teglia da forno imburrata al fondo e sulle pareti. Mettete qualche fiocchetto di burro sulla superficie e cuocete in forno a 200° per un'ora circa. Spegnete quando sulla superficie della torta ci sarà una crosticina scura, lasciate in forno ancora 5 minuti, sfornate e lasciate raffreddare. Servite dopo averla spolverizzata di zucchero a velo.

lunedì 26 novembre 2012

Galleria immagini - Checo Trapùjo

Checo Trapùjo: un Personaggio che ha indubbiamente contribuito a "colorire" un po' il Paese...

domenica 25 novembre 2012

Il banchiere di Dio


           

 Toni era tutto orecchi, guardava da dietro i balconi socchiusi della camera la scena, mai gli era accaduto di assistere ad un simile fatto e non aveva mai visto Bepi, suo tranquillo vicino di casa, dare in escandescenze e di matto in maniera così violenta.
Erano da poco passate le due di un pomeriggio torrido di luglio del 1958, e Tony disteso sul letto per  il riposo pomeridiano si “ramenava”  senza riuscire  a trovare “requie”, né chiudere occhio.
La canicola aveva fatto ritirare in casa ogni buon cristiano e per le strade in quelle ore non c’era anima viva, solo polvere e silenzio e in lontananza il tremolio dell’asfalto che sembrava sublimare e perdersi nell’aria.
Non c’era un filo d’aria che entrasse dalle finestre della camera, solo il fastidioso frinire delle cicale riempiva la stanza confuso al gloglottare insistente dei “pai” di Bepi e al verso molesto delle faraone.
Del resto da quattro o cinque giorni era la solita sinfonia e andare a letto era diventato giusto una perdita di tempo, anzi quei rumori che gli impedivano di prendere sonno, lo rendevano nervoso e non vedeva l’ora di alzarsi per andare a governare le bestie in stalla, prima di prendere la bicicletta per recarsi nei campi.
Il “punaro” era proprio sotto le finestre della camera e oltre al rumore, nella stanza, entrava anche una certa spussa de schìti, di letame e di fiori, ma quello non lo infastidiva più di tanto.
“ Scalfudri, dilinquenti, a ve cópo tutti, torme de Berta anca valtri!!! a ve fasso védare mi, a son stufo de sentire quel nome, assassini…..slandrùni”!!!
A queste grida furibonde e allo starnazzare delle bestie che nel “punaro” vorticavano come in un “visinelo” di vento, anche la Maria, la moglie di Toni, si era accostata alla finestra curiosa di capire cosa stesse succedendo.
Appena buttò lo sguardo verso il “punàro”, vide un gran polverone alzarsi dal recinto e Toni, che brandiva un coltello e un palo, rincorrendo i “pai” e le faraone che sembrava un ossesso.
Tutto rosso in viso con un diavolo per capello  non si fermava un attimo nonostante la moglie cercasse di calmarlo.
“Sta bon Bepi, cossa ghin polele le faraone e i pai, gesùmaria, càlmete che te fè un colpo!!” raccomandava la moglie preoccupata anche lei dalla scena.
Maria, guardò il marito nella penombra della camera, ma non riuscì ad avere risposte.”
“A gò idea che xé el caldo de sti jorni o el ga ciapà un colpo de sole” disse sconsolato Toni che temeva la furia del vicino come temeva i temporali e la tempesta sui campi.
“Mai visto cussì, gnanca col xé imbriago” commentarono ancora i coniugi nella stanza.
Poi chiusero  le finestre e scesero le scale in fretta con l’intenzione di andare dal vicino, per portare il loro aiuto se mai l’avesse accettato; in fondo avevano passato quasi una vita gomito a gomito, con un senso di solidarietà, di soccorso e di complicità tipica di quella società agreste e paesana nell’Italia di quegli anni.
Quando varcarono il pesante cancello di ferro della casa di Bepi, e da distante videro il “punaro”, capirono subito che mezze faraone e tre quarti di “pai” erano stecchiti: un massacro.
“Bepi, sta bon, cossa ghetu, parlòstia, cossa te xé capità ancò” gridò Toni per far capire all’amico che era arrivato e per farlo desistere da quel proposito ormai evidente di sterminare il pollaio, e chissà mai di allargare la mattanza.
Il sangue, le mosche e la polvere facevano da cornice allo spettacolo nel “punaro” protetto dal sole dalle fronde di un grande “figàro”, i cui frutti pendevano maturi e turgidi.
Bepi, all’interno del recinto sembrava un gladiatore che lottava contro quei poveri pennuti che ormai erano ridotti a pochi capi sani, quelli ancora in vita mezzi “desborasà” e sanguinanti, la maggior parte era agonizzante o addirittura morta.
Un po’ alla volta lo scalmanato si calmò, depose le “armi” e uscì piano dal cancelletto che chiudeva il recinto.
Ci fu un attimo di profondo silenzio, solo il ronzare delle mosche a mezz’aria rompeva quell’atmosfera tesa e irreale.
Bepi richiuse dietro di sé il cancello e “spuò” per terra il resto della sua ira e di quell’attimo di follia.
Il cane gli si fece incontro con le orecchie basse e il muso rivolto verso terra, Bepi si abbassò e gli fece una carezza sulla schiena, fu il segno che la burrasca stava passando, che l’ira si stava dissolvendo, per lasciar posto ad uno sfinimento e a una mollezza che ora gli attanagliavano le gambe.
Così, debole e quasi barcollante, borbottando qualcosa che non si capiva, andò a sedersi nell’angolo fresco che lui preferiva vicino alla porta della stalla da cui si intravedevano le vacche allineate ed in ordine, che tiravano la coda di qua e di là per cacciare le mosche.
Tony, Maria e la Isetta, moglie di Bepi, un po’ timorosi si avvicinarono lentamente, sembravano anche loro bastonati, forse temevano un nuovo attacco di rabbia, di quell’ira di cui non conoscevano né il movente, né il motivo.
“Bepi, ghètu bisogno de qualcossa, vuto ca vae tórte un fià de vin?” chiese la moglie
“Portéme un gòto ca gò la gola seca” rispose Bepi “suto suto”.
La moglie corse in fretta a prendere bottiglia e bicchiere e lo porse timorosa e quasi tremante  a quell’uomo che stentava a riconoscere in suo marito.
Prese in fretta la bottiglia e a lunghi sorsi la scolò di botto, quasi un litro senza fiatare.
“Pardio, se  te gavivi sen!!” sentenziò la donna sempre più esterrefatta e quasi sgomenta.
Bepi,  ormai calmato e con il vino che lo aveva dissetato e che piano piano cominciava a dargli una leggera euforia, con le bave che gli  colavano dalla bocca pronunciò un nome che uscì chiaro: Giuffrè.
La moglie allora non aveva avuto più dubbi, aveva capito tutto, come del resto aveva immaginato, quando suo marito aveva cominciato a fare quei “bruti sesti”.
Giuffrè in quegli anni era un personaggio noto alle cronache, ormai solo giudiziarie in quegli ultimi mesi, ma il suo nome circolava già da tempo specialmente nelle sagrestie e nelle parrocchie; un uomo che prometteva miracoli economici perché diceva era assistito dalla divina provvidenza.
A poco a poco aveva conquistato la simpatia e la fiducia di organi ecclesiastici anche importanti e con questo biglietto da visita aveva avuto buon gioco per entrare nel credito di molti contadini, piccoli imprenditori e minuscoli commercianti.
Prometteva a chi gli avesse affidato delle cifre di denaro un interesse che andava dal settanta, al cento per cento.
Cifre sicuramente allettanti che invogliavano a consegnare i risparmi anche di una vita, ed in effetti per i primi tempi riuscì ad onorare gli impegni, aumentando a dismisura la sua fama e di uomo benedetto da Dio.
In poco tempo riuscì a racimolare qualche miliardo di lire ed erano molti in quell’Italia ancora povera ed agricola del dopoguerra che stava ancora leccandosi le ferite.
Nel nostro caso, era successo, che il buon Bepi nel tempo, faticando e “strussiando” come musso aveva accumulato una certa somma depositata in posta in buoni fruttiferi del tesoro.
La rendita era bassa, ma sicura, e questo lo rendeva tranquillo e al riparo da eventuali difficoltà che potevano presentarsi nel corso della vita.
Un giorno, parlando con un amico al mercato di Thiene, a cui immancabilmente si recava ogni lunedì, sentì parlare del su citato Giuffè, l’uomo che, come disse l’amico,  se non faceva miracoli poco ci mancava: se Qualcuno aveva moltiplicato i pani e i pesci, lui, Giuffrè, moltiplicava i soldi.
Tese le orecchie ingordamente, veder raddoppiare la cifra in poco tempo lo lusingava, arrivò a casa trafelato e confidò la cosa ad Isetta, la quale da buona e sospettosa massaia lo consigliò di informarsi presso il reverendo parroco.
“Don Antonio a son vegnù a la parte parché a go bisogno de un consiglio….” esordì Bepi quando si era trovato davanti al prete con il cappello in mano e quasi timoroso di parlare di un tema tanto vile, quello dei soldi, col prete che di solito si occupava di anime e in breve spiegò il suo cruccio.
Il prete sapeva benissimo chi era il signor Giuffrè e per quello che conosceva era persona affidabile che fino ad allora aveva mantenuto fede agli impegni.
Bepi torno a casa in fretta e rasserenato, anche il parroco sapeva della vicenda Giuffrè e, nonostante non si fosse sbilanciato più di tanto, comunque aveva dato un giudizio positivo su quel banchiere romagnolo.
Il buon uomo allora avvicinò impaziente un emissario che gli era stato consigliato dal solito amico del mercato e gli affidò il gruzzolo, biglietto su biglietto gli contò quasi mezzo milione e a quei tempi, si parla del 1956, era una cifra considerevole.
Isetta cercò di dissuadere il marito, lei non si fidava troppo, pensava che nulla fosse regalato, tantomeno i soldi e con quelle cifre che giravano, doveva esserci qualche inganno.
Ma non ci fu nulla da fare, Bepi, testardo era convinto invece che tutto era limpido, visto che in qualche verso centravano i preti.
Bastava aspettare, avere pazienza, nemmeno tanta infondo, un paio di anni passano presto.
E poi quel funzionario aveva avuto proprio parole buone e rassicuranti, parlava in “talian” e aveva una faccia che pareva proprio un “sagrestan”: “mejo de cussì”, il cerchio quadrava perfettamente per il nostro.
“Ma Bepi, santamadona, sito sicuro da ver fato un bon afare?” chiese l’Isetta, che invece, più il tempo passava, più sentiva che quei soldi erano finiti in mani poco sicure, per non dire disoneste.
“Tasi che no te capisi gnente!! Le fémene, le sta bèn in cusìna a fare la poenta o a laorare in leto o mejo sototera” rispose Bepi in maniera cattiva. 
Quando le prime notizie che quel banchiere non aveva rimborsato dei clienti cominciarono a circolare, prima su qualche giornale, poi su tutta la stampa e addirittura in televisione, ormai la frittata era fatta, a centinaia si precipitarono a richiedere indietro i soldi, ma ahimè non ce n’erano più per nessuno.
Il castello messo in piedi dal panciuto banchiere romagnolo era franato su se stesso travolgendo tutto e tutti.
Giuffrè accusò il diavolo, il tradimento di chi gli aveva voltato le spalle, vi furono minacce, bestemmie e lamenti, fu istituita una commissione  parlamentare d’inchiesta che vide coinvolti il ministro delle finanze Preti e il suo predecessore Andreotti, ma i poveri cristi  ci rimisero tutto.
Questo scandalo servì per cambiare la legge della raccolta del risparmio rendendo più difficoltosa questa pratica da parte dei privati.
Tanti minacciarono il suicidio, altri dissero che se avessero incontrato Giuffrè gli avrebbero tagliato le canne della gola.
Bepi rischiò l’esaurimento nervoso, con l’Isetta che gli “mensonava” i soldi due o tre volte al giorno, in paese che mormoravano, e il prete che “sbusinava”.
Era una ferita aperta che sanguinava, ogni volta che gli veniva in mente Giuffrè era un coltello conficcato nella ferita, un dolore lancinante che lo faceva disperare.
Quel nome non lo poteva più sentire, si era ritirato in se stesso lontano da tutti, pensava di finire al “malincomio”, forse stava per diventare matto.
Aveva bisogno di pace e per questo andava in campagna presto e tornava tardi per stare da solo e non vedere nessuno.
Però, quei "schifùsi de pai" e  "quele troje dele faraone" non lo lasciavano in pace, parevano facessero apposta con il loro verso ripetere: Giuffrè, Giuffrè…
Bepi sentiva quel nome maledetto anche nei versi di quelle bestie: era diventata un'allucinazione.
E ad un certo punto Bepi, fece un “smerdaro”nel “punaro”.

                                             Maurizio Boschiero




sabato 24 novembre 2012

Galleria immagini - Altaburg

scatto di G.P. Alessi: l'autunno si diverte a pennellare lo Spitz di Rotzo. Qui si erge l'Altar Knotto per i "Sanpieroti" "Scagno del Diavolo"...

venerdì 23 novembre 2012

La sfilata di carnevale

Sì, lo so, per il tema di questo video siamo fuori tempo e la qualità è quella che è... purtroppo, ma desidero proporvelo ugualmente.
Ce lo offre Claudio Màule che ha ripreso dalla sua terrazza. Chi riconoscete? Vi ricordate chi c'era sotto al cavallo? Io ne ho riconosciuti una ventina, c'è anche Cìcole e Ciàcole...che quando l'ho vista...
Altri tempi vero? Tutti quei bambini che scorazzano...
Non ricordiamo esattamente l'anno, ma dovrebbero essere gli anni 88-89-90.










giovedì 22 novembre 2012

mercoledì 21 novembre 2012

martedì 20 novembre 2012

La transumanza


  San Matìo: scarga Camprosà 

e Benito ghe va drio...
(25 settembre 2004)



Alla malga Camporosà questa sembra una delle solite mattine, da lontano si vedono le solite cose , il solito paesaggio, ma più ci si avvicina più si capisce che c’è qualcosa di diverso, qualcosa nell’aria fredda e pungente ci dice che oggi sarà una giornata particolare…Attorno alle “casare” c’è un movimento inconsueto, questa è una mattina speciale: oggi si “scarga montagna”!!!
Dal 1970,  Benito Toldo con la sua famiglia, passa la stagione estiva sui pascoli montani della malga Camporosà, accudendo alla sua mandria  e ad  altre che gli vengono affidate per il periodo che va da giugno a settembre. In precedenza aveva avuto anche il Trugole e Mandrielle. In tutti questi anni, la famiglia Toldo ha acquisito un’esperienza unica per la conduzione della malga, per la produzione di burro , formaggio e degli altri prodotti caseari.

Parenti e amici sono giunti fin quassù a dare una mano  per la transumanza.
C’è bisogno di chi aiuterà ad accompagnare la mandria a valle attraverso il duro sentiero della “Cingella”, ma anche di chi, con furgoni e trattori, riporterà a casa le ultime cose rimaste. Prima di partire, gli uomini si rifocillano nella cucina con pane, sopressa e buon vino; una volta iniziato il cammino non ci sarà più tempo per nulla, la priorità assoluta sarà badare al gruppo di bovini e riportarli sani e salvi a casa.

Intanto dentro al “stalon” c’è uno strano movimento: sembra quasi che le bestie capiscano che oggi sarà un giorno diverso, che oggi  torneranno alla loro stalla.
Benito e i figli, Giuseppe, Franco e Mirko, cominciano, come in un antico rituale, a mettere le campanelle alle mucche: ce ne sono di varie forme e misure, i suoni sono diversi una dall’altra, questa specie di “vestizione” non è casuale, ma segue una logica ben precisa. I campanacci vengono messi a quelle vacche che sanno portarli nel modo giusto, che sanno con il loro passo, far suonare bene i batocchi ;ad ogni campana corrisponde il nome di un animale, i padroni conoscono bene ogni singolo capo e sanno fare, senza indugiare, la scelta giusta.
A questo punto, quando i batocchi cominciano a suonare, i muggiti aumentano e tutto “el stalon” è in subbuglio…

Fuori, nel “campigolo”, gli uomini sono già  appostati lungo il percorso che porta alla pozza d’acqua, dove sarà raggruppata la mandria prima della partenza.
Ad una ad una, le bestie vengono liberate dalla catena e inizia una folle corsa verso la pozza : sembra quasi un rodeo!!! Muggiscono, scalpitano e corrono facendo un enorme baccano, alcune scuotono così forte la testa da far  fare un giro completo del campanaccio!!! Uno spettacolo incredibile!!
In fondo, attorno alla pozza, vengono radunate insieme a quelle giovani che si trovavano già fuori, i fratelli Toldo le chiamano per nome, pian piano le mettono in gruppo e cominciano il cammino. Sembra impossibile, ma chi conosce gli animali, sa che il richiamo dei padroni viene capito e ascoltato, è quindi indispensabile che durante il trasferimento dalla malga a valle, ci siano persone che conoscano e sanno badare a questi animali.
Lentamente comincia la marcia, alcune persone davanti, altre di tanto in tanto, fino alla fine della lunga fila di vacche (circa una sessantina).

L’ultimo sguardo alle “casare” di Camporosà ormai vuote, un’altra stagione si è conclusa, nessun camino fuma…tutto intorno solo silenzio…
Ma in mezzo al “campigolo”, appoggiato al suo bastone, solo Benito, con lo sguardo fisso verso la sua mandria che lentamente scompare nel bosco…
Nella sua mente  mille pensieri, nelle sue mani gli anni di lavoro, nei suoi occhi la soddisfazione e l’orgoglio di aver portato avanti un duro lavoro, ma più di tutto di essere riuscito a trasmettere la sua passione ai suoi figli. Da anni le sue gambe non gli permettono più di percorrere quel duro sentiero, ma lui lo percorre con la mente, sa quali sono i punti più pericolosi e quelli più agevoli; vorrebbe essere anche lui della partita ma sa che si può fidare: la sua mandria è in buone mani!!!

All’inizio del sentiero che percorre il bosco, i mandriani devono continuare a riportare nel gruppo alcuni capi di bestiame  che tentano con ostinazione di andare dove vedono qualche ciuffo d’erba più verde.
Il passo ora si fa più sostenuto, sembra di essere a un grande concerto; i campanacci con i loro suoni differenti, ci riempiono le orecchie di musica e il cuore di gioia…
Il sole di fine settembre filtra tra i rami ancora rigogliosi degli alberi, ci riscalda il corpo infreddolito, la giornata è serena e limpida, tutto intorno ci dà una piacevole sensazione di un dolce “star bene”…
Il percorso a tratti è meno impervio, a tratti invece più duro,  il passo diventa più veloce, sembra che il gruppo di bovini non veda l’ora di arrivare…, ma visto che il sentiero  si fa più ripido bisogna cercare di farlo rallentare: deve arrivare sano e salvo alla stalla perchè, un  minimo brusco movimento può far inciampare, scivolare e cadere..( questo vale anche per le persone!!)
Da lontano si scorgono le prime case della contrà Lucca, ancora poco e saremo quasi arrivati al paese di San Pietro. La “Cingella” è quasi finita, la strada asfaltata   farà cedere le gambe a uomini e animali, ma coraggio, ormai ci siamo …
Il tempo è passato velocemente , siamo partiti da Camporosà alle 9 e 30, ora sono le 11 e 30 e vediamo già le prime case. Le persone sono uscite lungo la strada e accolgono il nostro arrivo con saluti, foto e filmati; ci sono anche i bambini delle  scuole elementari, questo è un avvenimento davvero speciale!!!
Un tempo questa era una cosa normale un po’ per tutti; quasi tutte le famiglie dei nostri paesi possedevano  dei bovini  che spesso erano l’unico sostentamento.
Ora, a San Pietro, gli unici a “mungere”  sono i Toldo,  sono anche tra i pochi che riportano a casa la mandria per sentieri e strade, quindi la transumanza, al giorno d’oggi è vista come un fatto eccezionale.
Per chi, in passato ha già vissuto questa esperienza, rivederla desta ricordi ed emozioni; per tutti gli altri, per quelli che non conoscono questo tipo di lavoro, il tutto viene visto con gli occhi di uno spettatore, incuriosito e meravigliato.

Si attraversa il paese fino alla contrà Righele, dove si trova la stalla dei Toldo.
Arrivati, le vacche vengono fatte entrare poche alla volta, per poterle mettere al proprio posto senza creare confusione. Adesso ci sarà per ognuna un buon pasto e un meritato riposo prima della prossima mungitura.  Si levano, uno alla volta  i  campanacci, che verranno riposti per la prossima stagione estiva.
Ora si ritornerà ai soliti ritmi, ai lavori scanditi dalle stagioni, alle soddisfazioni ma anche alle preoccupazioni che fanno parte di questo duro mestiere, dove non c’è domenica, né Natale, né Pasqua, né festa alcuna…
Chi lo ha scelto e lo porta avanti sa bene che è un lavoro faticoso, pieno di problemi da affrontare, ma se viene fatto con vera passione e dedizione, può dare grandi soddisfazioni.
E’ questo l’augurio che possiamo fare alla famiglia Toldo: di poter andare avanti nel migliore dei modi con la propria attività, di tenere duro nonostante le difficoltà, ma soprattutto di lavorare sempre con la “passione” che distingue coloro che fanno questo mestiere , un mestiere che il progresso ha modificato, ma che resta sempre e comunque un lavoro importante e prezioso.
                                                          


                                                                                                Lucia Marangoni

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...