Matàusen

【Gianni Spagnolo © 21M28】

Erano gli anni Ottanta e girovagavo per l'Alta Austria assieme a degli amici, quando ci fermammo in una Gasthof di Gusen per pranzare. Una scelta fatta a caso di un locale lungo la strada, spinti solo dalla fame e dall’aria dimessa della trattoria, che ritenevamo acconcia alle nostre magre disponibilità finanziarie. Ci fecero accomodare nel giardino interno, uno spazio recintato da mura e arredato con vecchi tavoli da birreria, dove consumammo un veloce pranzo a base di Rostkartoffeln, Wienerschnitzel e Leberkäse. Stavamo per lasciare il locale, quando buttai l'occhio verso la recinzione e m’accorsi di un particolare che m'era sfuggito; oltre il recinto s'intravedeva un pezzo di parete in calcestruzzo, con incisa una scritta a caratteri cubitali: “CREMATORIUM KZ GUSEN MAUTHAUSEN”.

Non dico che il pranzo mi andò di traverso, ma certo avevamo scelto un posto singolare in cui fermarci a mangiare; dietro quel muro, solo quarant’anni prima, erano passate per il camino almeno 30.000 persone. Tanti furono, infatti, i prigionieri morti nel campo di concentramento di Gusen, che era un satellite di quello vicino di Mauthausen, dove c’erano le famigerate cave di pietra della DEST (Deutsche Erd und Steinwerke), proprietaria anche del campo di Gusen. In quest’ultima struttura  i prigionieri furono costretti a scavare delle gallerie ciclopiche dove, a partire dal 1943, vennero trasferite le fabbriche di materiale bellico della Steyr e della Messerschmitt, per sottrarle ai bombardamenti degli Alleati. In quel periodo Gusen fu il regno del famigerato maggiore Chmielewski, specialista della "morte con l'acqua". Era infatti una sua specialità, in inverno, di far legare dei prigionieri a pali fissati sulla piazza dell'appello; i malcapitati venivano poi bagnati con secchiate d'acqua e ridotti a statue di ghiaccio; nelle stagioni calde, invece, appendeva i prigionieri per i piedi in modo tale che la testa fosse a bagno in un mastello pieno d'acqua e si godeva l'agonia delle sue vittime. 

Seppi poi che quel memoriale venne costruito nel 1965 per iniziativa di alcuni superstiti e con il contributo di varie associazioni di ex deportati, per salvare le ultime vestigia di quel luogo di pena che era stato ormai quasi del tutto smantellato e venduto a privati. Io a Mauthausen c’ero già stato, mi ci aveva portato mio padre anni prima, raccontandomi le storie dei paesani che erano morti in quel campo. Avevamo scorso insieme le numerose lapidi, scritte in molte lingue, che lo costellano, alla ricerca di Antonio Lorenzi, suo vicino di casa, di don Antonio Rigoni, cappellano di San Pietro, e di altri valligiani che lui ricordava bene. M’è rimasto un vivido flash della "gradinata della morte" e soprattutto della sala sotterranea dove impiccavano i prigionieri a dei ganci da macello; lì avevano appeso una scritta in tedesco che spiegava che in quell’ambiente venivano giustiziati i prigionieri. Una mano anonima, probabilmente quella di un sopravvissuto del campo,  aveva sbarrato, grattandola con una chiave, la scritta hingerichtet (giustiziati) e scritto ermordet (assassinati); una precisazione assai opportuna e che mi si è fissata indelebilmente nella mente. 

Mio padre mi raccontò del giorno in cui furono catturati e deportati i nostri paesani. Una gelida cappa opprimeva il paese quella domenica mattina dopo la Befana del 1945, ma non solo per la rigidità della stagione, quanto per la minaccia che aleggiava sulla comunità. Reparti di soldati tedeschi, stavano infatti convergendo da sud e da nord verso San Pietro. La colonna proveniente da Trento aveva già catturato a Ponteposta l’asiaghese don Antonio Rigoni, curato del luogo e cappellano di San Pietro, accusandolo ingiustamente di favoreggiamento dei partigiani. Altri presunti sospetti erano stati rastrellati fra Lastebasse e Pedemonte. Giunte al ponte del Maso, quelle milizie avevano catturato e fucilato sommariamente quattro giovani sbandati, dopo averli torturati perché sospettati di essere partigiani. Quindi si erano diretti nella piazza di San Pietro e avevano circondato la chiesa, dove molti paesani assistevano alla messa. L’assemblea fu dispersa e tutti gli uomini arrestati e ammassati sulla piazza. A quel punto cominciò la caccia all’uomo casa per casa.

Alcuni partigiani erano scesi da montagna nei giorni precedenti per ristorarsi nelle loro abitazioni. Lo fecero con ogni circospezione e cautela, ma la cosa inevitabilmente si seppe e qualcuno fece la spia, scatenando quel rastrellamento da parte dei nazifascisti. I militari erano infatti sulle tracce di Toni Carnavale, il capo-partigiano che era stato segnalato come presente in paese dai soliti bene informati; sapevano che c’era. In casa sua, nella corte dell’Ara, non l’avevano trovato e così avevano prelevato il padre e la sorella portandoli sulla  piazza con gli altri arrestati.  Toni era riuscito fortunosamente ad anticipare d’un soffio l’irruzione scappando per lo straxéjo, l’angusto passaggio che divideva  la sua casa dalla nostra, attraversando il pollaio e rifugiandosi sotto il ponte nella nostra corte, nascondiglio che ben conosceva fin da bambino. Era stato però intravisto scappare dai militari che controllavano l’abitato da in Sima ala Fontana e perciò scattò la perquisizione di quel gruppo di case. I militari infuriati ispezionarono la nostra casa, la corte e il bàito, ma senza evidentemente sospettare che quel pesante ponte in legno fosse levatoio e che un uomo potesse nascondervisi sotto.  Dopo averlo cercato inutilmente, i tedeschi ricorsero al ricatto: diramarono dalla piazza che, qualora non si fosse consegnato spontaneamente, i suoi familiari sarebbero stati deportati. Toni uscì infine spinto dalla pietà filiale e si consegnò ai tedeschi sulla piazza. Immaginabile l’ansia e lo sconcerto del padre, in attesa sul freddo del sagrato e oppresso dagli interrogatori subiti, che vedeva per l’ultima volta quel figlio, che scambiava la sua vita con la loro.  

I miei amici non avevano mai visto un campo di concentramento, per cui invertimmo la marcia e andammo a vedere il campo di Mauthausen. La visita li impressionò al punto che decidemmo di andare a vedere, sulla via del ritorno,  anche quello di Dachau, vicino a Monaco.

Mauthausen, storpiato da noi in Matàusen, era un toponimo che incuteva terrore ed era pronunciato a mezza bocca nei racconti dei Vecchi, memori dei rastrellamenti dell’ultima guerra e di cosa significasse finire a Matàusen. Per noi bambini Matàusen era un luogo terribile, sospeso nello spazio e nel tempo, come il castello dell'orco delle favole. Toni finì i suoi giorni proprio là e non se ne seppe più nulla. Di don Rigoni si riuscì a sapere che onorò fino in fondo la sua vocazione, prodigandosi nell’aiuto dei suoi sventurati compagni di prigionia fino alla morte d’inedia. I loro nomi sono scritti sulle lapidi del cimitero, mentre quello del delatore l’avrà (forse) digerito il tempo. La guerra civile e le divisioni politiche scavavano allora fossati profondi e incolmabili nel tessuto sociale, fra gli amici, i parenti e i paesani; dilaniavano le coscienze e opponevano gente dello stesso sangue. Quante piccole storie si potrebbero raccontare di quei brutti anni, ma non si può. Forse non interesserebbero a nessuno ed è meglio lasciare che il tempo completi la sua opera. Dumas padre scrisse che:  “A tutti i mali ci sono due rimedi: il tempo e il silenzio.” 



Commenti

  1. Davvero un bel racconto-resoconto...da brividi. Complimenti

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  2. Grazie Gianni, meriti tanti premi per quello che scrivi

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  3. Caro Gianni,Toni scappo' sui tetti per quello che dall'alto lo videro e poi appunto scompari'alla loro vista.Se chiedi a mio fratello Don Fernando,è del 42,si ricorderà sempre dei soldati Tedeschi entrati anche in casa nostra e saliti fino in soffitta per ricercarlo.Visitando Mauthausen mi sono chiesto come facessero i prigioneri a risalire dalla cava viste le condizioni in cui sopravvivevano.Sconvolgente.Bravo comunque a ricordare certe cose.

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    1. Guido, anche a me hanno raccontato la storia che Toni fuggì dai tetti, ma non è verosimile. Probabilmente questa fu la situazione che immaginarono i paesani non avendola vista, ma non ha senso né possibilità. Salendo sui tetti Toni avrebbe dovuto saltare lo staxéjo con un balzo di almeno tre metri sui coppi della casa dei Sela, cosa disperata anche per un disperato, per poi scendere attraverso il lucernario di casa nostra, operazione che non fece. In questo caso i tedeschi, da in Sima ala Fontana, avrebbero visto benissimo dove si dirigeva e avrebbero potuto anche sparargli. I miei nonni non sapevano che Toni era nascosto sotto il ponte quando i tedeschi irruppero in casa, lo scoprirono dopo che se n’erano andati. Toni verosimilmente si calò nello straxéjo attraverso la finestra che i Carnavai hanno su quel passaggio, e fu lì che venne intravisto dai tedeschi, per poi sparire immediatamente alla loro vista perché la visuale era impedita dal profilo del nostro bàito. Ciò li costrinse a perquisire tutte le case di quel blocco, inclusa la tua, che non avrebbe avuto senso fare se l’avessero visto dirigersi verso la nostra. Tu, che quei posti li conosci bene, prova ad immedesimarti nel fuggitivo e vedrai che avresti fatto la stessa cosa.

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    2. Va bè,dai supponiamo che si era già immaginato la via di fuga e il nascondiglio.Non mi ricordavo che il ponticello fosse levatoio,ma come mai era così?

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    3. Allora Guido, appurata la dinamica della fuga, direi che la cosa si colloca a mezzavia fra la mia e la tua versione. Toni fuggì effettivamente dai tetti e tentò di entrare nel granaro di casa tua, non riuscendovi perché il lucernario era chiuso dall'interno; quindi ritornò sui suoi passi e saltò sul cavalletto di cemento che unisce la casa dei Carnavai con quella dei Sela, e da lì scese (saltò) nello straxéjo dirigendosi verso casa mia. Il ponte non era levatoio come quello dei castelli medievali ;-) ma si poteva alzare perché dava accesso alla vasca che c'era lì sotto e che veniva periodicamente svuotata. L'uomo si nascose perciò fra il ponte e il coperchio della vasca, dove c'era un po' d'intercapedine, che però da sopra non era visibile né ipotizzabile.

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    4. Buonasera a tutti sono Luciano figlio di Teresiano quindi pronipote di Toni. Ricordo le molte volte che mia nonna, Gina Lorenzi, raccontava la vicenda confermando che mio zio Toni saltò veramente dal tetto di casa, probabilmente aggrappandosi ad una finestra oppure alla grondaia. Lei però non seppe mai dove il fratello si nascose dopo, ed anch'io ho sempre avuto la curiosità. Ricordo che Antonio era un veterano della Guerra di Spagna e decorato in Jugoslavia al Merito, quindi sicuramente non un novello. Credo che la via di fuga non sia stata improvvisata ma messa in conto nel caso si verificasse qualche situazione pericolosa. Mia nonna mi diceva che quella mattina Toni doveva recarsi a caccia assieme ad Osvaldo Toldo ( Piona) ma di buon ora levatosi e visto che nevicava, era tornato a letto lasciando zaino e fucile in cucina, dando poi modo ai tedeschi di etichettarlo come Partigiano senza ombra di dubbio, durante la perquisizione.
      Cosa oltretutto vera!
      Mio bisnonno fu malmenato dai militari e portato in piazza assieme alla figlia Ines che fu anche lei portata a Roncegno assieme a Toni, ma poi rilasciata, mentre lui prosegui per Mauthausen e poi Gusen come detto sopra.
      Mori il 25/04/1945 ultimi giorni di guerra dopo aver combattuto una decina d'anni in mezza Europa.
      Mi ha fatto piacere che qualcuno ricordi questa vicenda, quasi da film e che da modo una volta almeno di ricordare l'onore ed il coraggio di quest'uomo che in cambio del rilascio del padre ha dato la propria vita....non è poi così scontato!!
      Un grazie di nuovo a tutti.
      Luciano

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    5. Grazie Luciano per l'intervento e le precisazioni, ho rettificato il post in merito. Come vedi la collaborazione di tutti fa uscire dal dimenticatoio vicende paesane, interessanti documenti della nostra piccola storia. Uno spezzone qua, ...uno spezzone là ...e si riannodano i fili della memoria. Chissà quanto materiale dimenticato uscirebbe dai nostri hard disk di carne, se solo lo mettessimo in rete...

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  4. Una Gran bella brutta storia...
    La cosa che mi fa arrabbiare è il fatto che i fascisti odierni possano parlare e agire indisturbati anche se le leggi contro l'alloggiamento ci sono,ma non vengono applicate!!!

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