Il dilemma dei Sartori: Forbice, Falce o Lésina?
【Gianni Spagnolo ©
191031】
Sutor, ne ultra crepidam! Recita il detto latino, a significare che un
calzolaio non vada oltre la scarpa, cioè non si esprima su argomenti di cui non
ha competenza. Giusto il monito che ora spudoratamente eludo occupandomi di queste faccende; ma è per assecondare quella curiosità birichina che m'interpella dai vecchi tomi.
Stavolta infatti mi sono imbattuto in tal: Joane f. q~. Fra:ci de' Suttoribus Valpegarie, pertinentiam Furnem. Ovvero di Giovanni figlio del fu Francesco del Calzolaio da Valpegara, territorio di Forni.
Stavolta infatti mi sono imbattuto in tal: Joane f. q~. Fra:ci de' Suttoribus Valpegarie, pertinentiam Furnem. Ovvero di Giovanni figlio del fu Francesco del Calzolaio da Valpegara, territorio di Forni.
È una scrittura della fine del millecinquecento e in quell'epoca le
persone sono identificate negli atti ufficiali con patronimici o mestieri
ancora latineggianti, ma già si riconosce in essi l’embrione dei cognomi
che poi si consolideranno nel secolo successivo, quali:
- de' Laidibus (De Lai, Dellai);
- de' Petenatiis (Pettinà);
- de' Laurentiis (Lorenzi);
- a' Via (Dalla Via);
- de' Bonifatiis (Bonifaci);
- a' Molendino (Dal Molìn);
- a' Putheo (Dal Pozzo);
- de' Slaveriis (Slaviero);
- a' Prato (Dal Prà);
- de' Toldi (Toldo);
- de' Janesiniis (Gianesini);
- ab Hostaria (Dall'Osteria);
- a' Canalle (Canale);
- de' Pretto (Pretto);
- Cechinatto de la Sega di Russa (Zecchinati da Barcarola);
- de' Mathielliis (Mattielli);
- de' Lorenciniis (Lorenzini);
- a' Ferra (Dal Ferro);
- de' Jacobelliis (Giacomelli);
- de' Luca (Lucca);
- a' Fonte (Fontana).
Rogatore è il notaio Ludovico Cerato (Ludovicus filius quondam Joane Ceratti), che
è di Forni e perciò profondo conoscitore del contesto locale. Sarà proprio in questi anni a cavallo dei secoli XVI° e XVII° che si
fisseranno la gran parte dei cognomi nostrani per come li conosciamo oggi.
Dunque del nostro Suttor-ibus (Sutor
= calzolaio, ciabattino) da Valpegara cosa possiamo dire? Non è certo curiosa la
presenza di questo artigiano in contra', quanto il fatto che da
lì provengono pure i Sartori della Destra-Astico (in passato
registrati anche come Sartore) e che all'assonanza fonetica tra Suttor/Suttoris e
Sartore/i sia ascrivibile una derivazione cognominiale. Certamente i valpegaraiti del
tempo non avranno chiamato quella famiglia di ciabattini col pomposo predicato "de'
Suttoribus", ma più modestamente Scarparo, o forse, data l'epoca, Suaster o Soster, che
il notaio si premurò di rendere in latinorum; così come fece per i Pruner di
Castelletto, annotandoli come: a' Putheo.
Sartori è un cognome molto diffuso in Italia,
dove si contano più di seimila famiglie, metà delle quali concentrate nel
Veneto e più d’un terzo di queste nel Vicentino, sparse in quasi tutti i suoi
comuni. L’Alta Valle dell'Astico stessa ne ospita una cinquantina. Il
cognome è assai antico, dato che da noi lo si fa risalire a quello
del domestico del vescovo fiorentino Andrea de' Mozzi (per breve tempo ordinario di Vicenza tra
il 1295 e il 1296). Di quel prelato restò memoria in letteratura in quanto fu identificato in colui che il sommo Dante, in un controverso versetto, collocò nel settimo cerchio del terzo girone del suo speciale Inferno. Tale presule investì infatti il suo sarto di possedimenti nei 7 Comuni, anche
se non è automatico ritenere che i moderni Sartori promanino direttamente da quegli etruschi
lombi.
La circolazione di questo cognome in terre cimbre ne comportò poi la resa nella lingua parlata come Snàidar o Snìderi, pur se a rigori questo significherebbe mietitore, falciatore, più che sarto. Sempre tagliatore dunque, ma più di prati che di stoffe. Viene riportato anche come Schneider, che è la corretta traduzione di sarto nel tedesco moderno, ma che non mi pare corrispondere nel C7C. Vabbè, vorrà dire che qualcosa mi sfugge. Magari sarà stata la meticolosa interpretazione di qualche erudito dei primi tempi, che si rifece alla duplice radice dell'antica etimologia latina di Sartor-is. In ogni caso, cosa fatta capo ha!
La circolazione di questo cognome in terre cimbre ne comportò poi la resa nella lingua parlata come Snàidar o Snìderi, pur se a rigori questo significherebbe mietitore, falciatore, più che sarto. Sempre tagliatore dunque, ma più di prati che di stoffe. Viene riportato anche come Schneider, che è la corretta traduzione di sarto nel tedesco moderno, ma che non mi pare corrispondere nel C7C. Vabbè, vorrà dire che qualcosa mi sfugge. Magari sarà stata la meticolosa interpretazione di qualche erudito dei primi tempi, che si rifece alla duplice radice dell'antica etimologia latina di Sartor-is. In ogni caso, cosa fatta capo ha!
A questo punto però, ipotizzare una possibile
derivazione dei Sartori valligiani dalla corruzione del cinquecentesco Sutor,
Sutoris valpegaraito non mi pare del tutto peregrino. Tanto, di
Sartori nel mio albero genealogico ne ho in abbondanza da autorizzarmi a risalire ben oltre la scarpa. La stessa vasta e capillare diffusione del cognome
sul territorio farebbe infatti pensare all'esistenza di diversi nuclei originari anziché di un'unica matrice, per quanto antica. Magari un: "E pluribus unum", come per gli Stati Uniti.
A San Pietro, giusto per giocare in casa, abbiamo la bellezza di tre ceppi distinti di Sartori: gli oriundi da Gallio nel secolo XVII° (Vichi e collaterali), quelli da Valpegara nel XVIII° (Menegante) e da Casotto (Altri+), in quello successivo. Perciò ognuno può pensarsi discendere dal lignaggio che più gli aggrada: dallo scaltro stilista del vescovo, dal rude e vigoroso falciatore cimbro, oppure dagli scarpari valligiani rinascimentali. E sicuramente non è finita qui!
A San Pietro, giusto per giocare in casa, abbiamo la bellezza di tre ceppi distinti di Sartori: gli oriundi da Gallio nel secolo XVII° (Vichi e collaterali), quelli da Valpegara nel XVIII° (Menegante) e da Casotto (Altri+), in quello successivo. Perciò ognuno può pensarsi discendere dal lignaggio che più gli aggrada: dallo scaltro stilista del vescovo, dal rude e vigoroso falciatore cimbro, oppure dagli scarpari valligiani rinascimentali. E sicuramente non è finita qui!
Sembra una parodia della morra cinese: Forbice,
Falce o Lésina?
Chi batte tutti?
...mamma mia Koscri, se ghevo dei dubbi adesso i xe deventà ancora pi grandi..
RispondiEliminaMi sembra che è nel libro di Giancarlo Bortoli "Margareta e frà Dolcino" che si legge, parlando dell'arrivo di Frà Dolcino sull'Altopiano di Asiago "È in quel tempo che arriva a Rotzo la famiglia dei Sartori, proveniente da Firenze e alla corte del Vescovo Andrea Mozzi, bandito da quella città e trasferito a Vicenza nel 1295. Il perverso Vescovo muore a Vicenza nel 1296 (fatto citato nella Divina Commedia di Dante Alighieri). Il Sartori sarà uno dei protagonisti della divisione tra le comunità di Rotzo e quelle di Roana".
RispondiEliminaCome te, Gianni, ho tanti Sartori nel mio albero genealogico, sopratutto a Valpegara. Un mio antenato, tra i più vecchi (nato il 14.1.1642), si chiamava Andrea, "Il conte" di sopranome. Ho notato che il nome Andrea non era diffuso nelle famiglie Sartori dell'epoca. Forse scendeva da quel lignaggio Sartori "scarparo" del vescovo ? Chissà ! Sarebbe una storia originale.
Si racconta che sul balcone di una delle ville dei Sartori a Roana ci fosse lo stemma dei Sartori contenente il giaggiolo fiorentino.
RispondiEliminaQuesta casa fu demolita in seguito ai danni di guerra del 15-18 e lo stemma andò perduto.
Non si sa, se questo fosse lo stemma d'origine, oppure aggiunto in seguito alla storia del vescovo fiorentino Andrea de' Mozzi, (oggi avrebbe il soprannome "sodomita o pedofilo" e Dante l'ha piazzato là dove meglio gli sembrò dovesse stare), accompagnato dal suo sarto(re) di corte che a causa del modesto lavoro che gli si offriva a Vicenza, rispetto a quello in Fiorenza, gli fu assegnata la gestione delle terre intorno al Monte Verena.
Brunetto Latini a Dante disse del Mozzi nell'Inferno (Canto XV, versi 110-115)
«... e vedervi,
s'avessi avuto di mal tigna brama,
colui potei che dal servo de' servi
fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione,
dove lasciò li mal protesi nervi»
Sì Sartori è un cognome di professione: la quale? Lasciamo la delicata discussione agli storici etimologhi, con i loro ben giustificati dubbi!
Vedi anche: Giancarlo Bortoli: "Margareta e fra' Dolcino, Amore e libertà A.D. 1299", L'Altopiano 2011.
Molto interessante ma quale è la sua opinione dato che lei è uno Sartori che conosce molto bene queste cose storiche?
EliminaCaro Enrico, lo stemma dei Sartori conteneva solo il giaggolo o altri simboli?
EliminaMa questo notaio Cerato di Forni conosceva il cimbro?
RispondiEliminaCredo lo conoscesse certamente e perfettamente, essendo la sua madrelingua. Come avrebbe altrimenti potuto un pubblico ufficiale del millecinquecento raccogliere efficacemente le volontà testamentarie di anziani analfabeti infermi? E questo in un territorio che spaziava da Rotzo a Tonezza e da Forni a Lavarone? I masi vallivi sparsi di Forni: Maso, Luconi, Grotta, Sella e probabilmente Valpegara stessa furono fondati a partire da quel secolo da famiglie di Tonezza (Pettinà, Dalla Via, Fontana, Sella, Dellai, ecc.) e queste parlavano ancora correntemente in cimbro, per ammissione scritta del conte Caldogno quando istituì la prima cernida fra Tonezza e Lastebasse, nel 1610. Forni e Tonezza erano la stessa gente. A quel tempo credo che in tutta l’Alta Val dell’Astico, a partire dalla Sega di Russa (Barcarola) e fin su alle sorgenti del fiume, si parlasse cimbro. I Cerato comandavano e facevano affari in Valle e nelle montagne limitrofe almeno fin dal XIII° secolo e non lo facevano di certo attraverso intrepreti. Probabilmente a quell’epoca erano invece fra i gran pochi a saper scrivere ed esprimesi anche in volgare.
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