L'antico Gonfalone della Milizia dei 7 Comuni conservato nel Municipio di Asiago |
Il Gonfalone di San Marco,
che ha rappresentato una Città e uno Stato tra i più attivi d'Europa lungo i
suoi quattordici secoli di storia, la nostra storia, è ora ridotto a simbolo di
fazione o a burocratico emblema regionale.
Ben altra fu invece la sua considerazione e il suo prestigio in passato.
Ben altra fu invece la sua considerazione e il suo prestigio in passato.
" Imperio Veneti dantes se sponte Leonis Majores nostri pristina jura tement"
Mai i nostri vennero meno al dovere di difenderne i confini, neppure quando questa soccombette inerme all’avanzata di Napoleone e il nostro piccolo esercito scese inutilmente a Verona per combattere i francesi, quando ormai l’inane Municipalità Provvisoria di Venezia aveva optato per la capitolazione.
Di lì a poco cessò pure quella originale Federazione, la "Spettabile Reggenza dei Sette Comuni" (Hòoge Vüüronge dar Siban Komàüne) che aveva sfidato i secoli con la sua singolare organizzazione e coesione sociale, ben sintetizzata dal suo preambolo costitutivo:
« Dar Wohl de Volkes ist dar Wohl de Regierung un dar Wohl de Regierung
ist dar Wohl de Volkes »
(Il bene del popolo è il bene della Reggenza e il bene della Reggenza è il bene del popolo).
(Il bene del popolo è il bene della Reggenza e il bene della Reggenza è il bene del popolo).
Nonché dal suo
motto:
«Dise saint Siben, Alte Komeun, Prüdere Liben»
(Questi sono i Sette Antichi Comuni, fratelli cari).
(Questi sono i Sette Antichi Comuni, fratelli cari).
Da noi non era necessario che venissero francesi ad insegnarci come governare la cosa pubblica: lo sapevamo fare da soli da secoli.
Anche all’altro estremo
del Dominio Veneto, in quella Dalmazia del Territorio da Mar, abitata anch’essa
da genti che parlavano lingue diverse ma che erano leali da secoli alla
Dominante, si consumò un atto di fedeltà che è bene ricordare e che qualcosa
dovrà pur significare.
Perasto era un'antica,
piccola, ma terribile comunità, che per la sua fedeltà ed il valore militare
era stata nominata dal Senato Veneto: "Gonfaloniera
dell'Armata". Per ben 377 anni i Perastini furono i custodi effettivi
della bandiera della nave ammiraglia veneziana. Il Consiglio degli Anziani di
Perasto eleggeva 12 Gonfalonieri che giuravano di morire piuttosto che
permettere alla bandiera di cadere in mano al nemico.
I "Gonfalonieri di Perasto"
costituivano un Corpo indipendente della Milizia Veneta da Mar, sotto il
diretto comando del Capitano Generale da Mar. Giusto per capire quanto questo ufficio fosse tutt'altro che formale, vale ricordare che nella Battaglia di Lepanto del
1571, morirono 8 Gonfalonieri su 12.
Il Capitano di Perasto era
la massima Autorità Amministrativa e Militare locale; al tempo della caduta
della Serenissima Repubblica, ricopriva questa carica Giuseppe Viscovich, fratello dell'ardito comandante che quattro mesi prima aveva annientato l'incrociatore
napoleonico "Liberateur d'Italie" alle bocche del porto di Venezia.
Scorriamo dunque la cronaca di quell’evento del 23
agosto 1797 che ne da il contemporaneo Mons. Vincenzo Ballovich.
"I Perastini non che le genti del suo Territorio, ed altre ancora, si radunarono dinanzi all'abitazione del Capitano ove le Venete Insegne si custodivano.
Ivi giunto il Luogotenente con dodici uomini, rappresentanti la guardia del Regio Gonfalone, armati di sciabola, seguiti da due Alfieri e preceduti da un Giudice, si recò nella Sala, dove stava la Bandiera di Campagna, e il vessillo del Gonfalone, che da più secoli la Veneta Repubblica per speciale e distinto privilegio aveva affidato al valore ed alla Fedeltà dei Perastini.
Dovevano essi levare quelle amate insegne; ma nel punto di eseguire un atto, che squarciava i loro cuori, perdettero le forze, e tante solamente ne conservarono, quante bastavano a versare un diluvio di pianto.
Il Popolo che affollato stava aspettando, e che non vedeva più nessuno uscire dalla Sala, non sapeva che pensarsi.
Mandossi un secondo Giudice del paese per ritrarne il motivo; ma questo rimase sì altamente commosso che con la sua presenza altro non fece, che aumentare la tristezza degli altri.
Finalmente il Capitano, vincendo per necessità sè medesimo, fà uno sforzo doloroso: distacca le insegne, le fa inalberare su due picche: le passa in mano ai due Alfieri, che scortati dai dodici Gonfalonieri e dal Luogotenente escono in ordinanza dalla Sala, e su' lor passi vengono ed il Capitano e li Giudici e tutti gli altri.
Appena fu visto comparire l'adorato Vessillo che diventò comune il lutto e universale il pianto. Uomini, Donne, Fanciulli tutti mandano singhiozzi, tutti spandono lacrime. Altro più non s'ode, che un lugubre gemito, contrassegno non dubbio dell'ereditario attaccamento di quella generosa Nazione verso la sua Repubblica.
Giunta la mesta comitiva in Piazza, il Capitano toglie dalle picche le insegne, e ad un tempo vedesi calar la bandiera di San Marco dalla Fortezza, che tira ventun colpi di cannone.
Due vascelli armati per guardia del porto le rispondono con undici spari, e così fanno tutti i vascelli mercantili che ivi si trovano. Fu questo l'ultimo atto che la fama posta a lutto diede al valor nazionale.
Le ossequiate insegne furono poste sopra un bacino; il Luogotenente le ricevette in presenza dei Giudici, del Capitano e del Popolo. Indi marciarono tutti con passo lento e malinconico alla volta della Chiesa principale.
Colà giunti, vennero accolti dal Clero e dal suo Capo, al quale si fece la consegna del venerato deposito, e lì lo pose sull'Altar Maggiore.
Allora il Conte Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto proferì il seguente discorso, che fu tratto tratto interrotto da vivi singulti e da rivi di lacrime sorgenti ancor più dal cuore che dagli occhi:
Ivi giunto il Luogotenente con dodici uomini, rappresentanti la guardia del Regio Gonfalone, armati di sciabola, seguiti da due Alfieri e preceduti da un Giudice, si recò nella Sala, dove stava la Bandiera di Campagna, e il vessillo del Gonfalone, che da più secoli la Veneta Repubblica per speciale e distinto privilegio aveva affidato al valore ed alla Fedeltà dei Perastini.
Dovevano essi levare quelle amate insegne; ma nel punto di eseguire un atto, che squarciava i loro cuori, perdettero le forze, e tante solamente ne conservarono, quante bastavano a versare un diluvio di pianto.
Il Popolo che affollato stava aspettando, e che non vedeva più nessuno uscire dalla Sala, non sapeva che pensarsi.
Mandossi un secondo Giudice del paese per ritrarne il motivo; ma questo rimase sì altamente commosso che con la sua presenza altro non fece, che aumentare la tristezza degli altri.
Finalmente il Capitano, vincendo per necessità sè medesimo, fà uno sforzo doloroso: distacca le insegne, le fa inalberare su due picche: le passa in mano ai due Alfieri, che scortati dai dodici Gonfalonieri e dal Luogotenente escono in ordinanza dalla Sala, e su' lor passi vengono ed il Capitano e li Giudici e tutti gli altri.
Appena fu visto comparire l'adorato Vessillo che diventò comune il lutto e universale il pianto. Uomini, Donne, Fanciulli tutti mandano singhiozzi, tutti spandono lacrime. Altro più non s'ode, che un lugubre gemito, contrassegno non dubbio dell'ereditario attaccamento di quella generosa Nazione verso la sua Repubblica.
Giunta la mesta comitiva in Piazza, il Capitano toglie dalle picche le insegne, e ad un tempo vedesi calar la bandiera di San Marco dalla Fortezza, che tira ventun colpi di cannone.
Due vascelli armati per guardia del porto le rispondono con undici spari, e così fanno tutti i vascelli mercantili che ivi si trovano. Fu questo l'ultimo atto che la fama posta a lutto diede al valor nazionale.
Le ossequiate insegne furono poste sopra un bacino; il Luogotenente le ricevette in presenza dei Giudici, del Capitano e del Popolo. Indi marciarono tutti con passo lento e malinconico alla volta della Chiesa principale.
Colà giunti, vennero accolti dal Clero e dal suo Capo, al quale si fece la consegna del venerato deposito, e lì lo pose sull'Altar Maggiore.
Allora il Conte Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto proferì il seguente discorso, che fu tratto tratto interrotto da vivi singulti e da rivi di lacrime sorgenti ancor più dal cuore che dagli occhi:
"In sto amaro momento, che lacera el nostro
cor; in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, el
Gonfalon de la Serenissima Repubblica ne sia de conforto, o Cittadini, che la
nostra condotta passada che quela de sti ultimi tempi, rende non solo più
giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri
fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l'Europa, che Perasto ha
degnamente sostenudo fino all'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co'
sto atto solenne e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto.
Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti coi
quai sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto el Serenissimo Veneto
Governo, rivolzemose verso sta Insegna che lo rappresenta e su ela sfoghemo el
nostro dolor.
Per trecentosettantasette anni la nostra fede, el
nostro valor l'ha sempre custodìa per tera e par mar, per tutto dove né ha
ciamà i so nemici, che xe stai pur queli de la Religion.
Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze,
el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre per Ti, o San Marco; e
felicissimi sempre se semo reputà Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar
nu semo stai illustri e vittoriosi. Nissun con Ti n'ha visto scampar nissun con
Ti n'ha visto vinti o spaurosi! Se i tempi presenti, infeicissimi per
imprevidensa, per dissension, per arbitrii illegai, per vizi offendenti la
natura e el gius de le zenti, no Te avesse tolto dall'Italia, per Ti in
perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la nostra vita, e piutosto
che vederTe vinto e desonorà dai Toi, el coraggio nostro, la nostra fede se
avarave sepelio soto de Ti!
Ma za che altro no resta da far per Ti, el nostro
cor sia l'onoratissima To tomba e el più puro e el più grande elogio, Tò
elogio, le nostre lagreme".
Dopo aver
pronunciato questo proclama, il conte Viscovich si rivose a suo nipote
Annibale, un bambino che stava lì accanto, dicendogli: Inzenocite anca ti, Anibale, e tiéntela in mente
par tuta la vita!
Gianni Spagnolo
Grazie Gianni per questa pagina di storia. Hai messo le mani davanti... per non essere frainteso. Ma non ce n'era bisogno. Ci sono valori che durano nel tempo anche se con nomi diversi. Il famoso motto "Ti con nu, nu con Ti" ha una valenza universale; dà il senso del rapporto vero di una persona con il proprio Paese.
RispondiEliminaANONIMO
Parole nobilissime del Capitano di Perasto, anche se, viste in un contesto storico, mostrano i segni di un'epoca imbevuta di romanticismo. Parole che esprimono il coraggio, l'ardore e l'eroismo di un piccolo popolo e dei suoi Gonfalonieri. Parole scolpite nel cuore e non solo scritte sulle magliette.
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