lunedì 17 settembre 2012

Un tragico equivoco





Replaces a lady: a rapid and satisfactory method. Can do it yourself. Heaven in your hands.
Sostituisce la donna: metodo rapido e soddisfacente, potete fare da soli. Avrete il paradiso in mano.
Così era stata malamente tradotta la frase in lingua inglese che era incisa in una targhetta di metallo appiccicata ad un macchinario un po’ strano e misterioso collocato in un angolo di una sala d’aspetto  della stazione ferroviaria di Amsterdam.
Ancor peggio era stata interpretata: maliziosamente riconducevano il tutto al sesso o meglio ad un confuso confine futuribile della tecnologia erotica.
Il cielo quella sera era  color della birra quella che a buon mercato si spillava in copia  nelle piccole bettole o nei fumosi pub affacciati sulle vie della città Olandese e che non poca era scivolata leggera nelle gole dei nostri eroi poliglotti.
La gente che affollava la stazione pareva assorta nei suoi pensieri, andava lesta ed incurante di tutto.
Solo il gruppetto di Italiani rumoroso e ciarliero sembrava non avere fretta, ammassato intorno alla macchina della targhetta.
Erano arrivati la mattina in quella Venezia del nord piena di canali, di colori, di biciclette, di birra, di fumo, di sesso e di trasgressione. Si erano riempiti in fretta di tutto quello che avevano trovato, forse gli pareva di essere nella città dei balocchi come quella della favola di Pinocchio.
Sembravano come “incantesimà”.
Chi era arrivato in autostop, chi in treno, chi in moto. Erano tutti di una zona del Veneto per  meglio dire della provincia di Vicenza, tutti intorno ai venti anni, capelli lunghi, jeans e sacco a pelo. I sogni e la voglia di vivere e di viaggiare erano il motore di quelle giovani vite.
Il ’68 era da poco passato come un vento feroce e aveva lasciato in loro  il seme che aveva fatto vibrare di speranza e di libertà le nuove generazioni dell’America e dell’Europa.
Il viaggio  era un pretesto,  bastava partire, non importava con chi e per dove, contava andare, era la strada stessa  la meta e l’avventura, la scoperta e il fine.
D’altra parte non si erano forse ben abbeverati a certa letteratura Americana “on The road” dei poeti della “Beat Generation”, sorbendone tutti gli umori e le illusioni e a volte le allucinazioni?
 I viaggi  si facevano anche con la droga e in quei tempi la marijuana, l’hashish,  erano un altro mezzo a buon mercato per correre incontro ai paradisi artificiali. Amsterdam agli occhi di quei giovanotti era un luogo che poteva dare tutto quello che uno cercava, dalle sostanze, all’alcool, al sesso e la libertà.
Avevano letto e favoleggiato di quartieri a luci rosse e di donne che si offrivano gentili ed invitanti dalle vetrine, bastava tirare una porta e scomparire tra le tende  per lasciarsi morire tra le carni invitanti di ragazze profumate che scioglievano ogni imbarazzo con le loro arti e aiutavano a scoprire quell’universo femminile che poco avevano frequentato prima, se non in qualche maniera spesso ruvida e rusticana.
Qualcuno vincendo la provinciale timidezza aveva tentato di varcare la soglia di quelle case, ma l’imbarazzo era  tanto, cercando il coraggio passeggiando nervosamente davanti alla vetrina con il risultato che  poco dopo si era ritrovato con la polizia alle calcagna forse insospettita da quei passi un poco goffi ed imbranati.
Un temerario aveva anche spinto una porta, attratto da quella sirena che dall’interno sembrava una circe che offriva le sue delizie.
Purtroppo dalla confusione e dall’agitazione aveva impigliato la maglia nella maniglia  dell’infisso e il risultato fu di una figura “porca”, tanto che anche la sirena si sciolse in un riso sfrenato che distrusse la magia del momento.
Al malcapitato non restò che battere in ritirata in fretta tutto paonazzo in viso.
Fatto sta che si erano trovati a vagare un po’ persi tra i vicoli della città , a guardare l’acqua che lenta scorreva tra i canali.
Da buon italiano qualcuno aveva anche orinato  in quei canali lenti, rischiando la galera o una multa salata.
Certo che il tempo passava veloce tra i colori e la gente frettolosa; ma sembrava rallentare per  i gruppi di ragazzi dai capelli lunghi che si radunavano intorno ad una chitarra e a qualche bottiglia di birra.
Venezia era lontana, ma per certi versi Amsterdam le somigliava, solo l’odore tra i canali  era diverso e i profumi  erano un misto di fiori e di mare; anche la nostalgia di casa sapeva di buono, ma si perdeva nei fondi dei bicchieri di birra e nelle volute di fumo degli spinelli.
Venne sera in fretta e gli ostelli cominciavano ad animarsi: ragazzi e ragazze da tutto il mondo, sacchi a pelo, eskimo chitarre, birra e spinelli…………
I nostri però li avevamo lasciati in stazione a fantasticare davanti a quella scritta in inglese.
L’ostello era vicino, ma era distante dalle loro intenzioni, preferivano stare in stazione e dopo una certa ora, quando forse la polizia era meno ossessiva, avrebbero potuto stendere i loro sacchi a pelo e la loro stanchezza sulle banchine di legno della grande sala.
Ora però pensavano che quella macchina era davvero una cosa avveniristica per quello che avevano letto sulla targhetta. Altro che in Italia!
Qui addirittura oltre alle donne in vetrina come in una specie di supermercato avevano inventato la macchina del sesso per un coito meccanico e sbalorditivo.
Era il futuro: L’anno duemila qui così vicino, ma ancora così distante specie nei piccoli paesini di provincia in cui ancora i preti la facevano da padroni bacchettando e riprendendo chi appena usciva dalla antica morale cattolica e perbenista in cui per acquistare un preservativo si consumava il marciapiede davanti alla farmacia o baciare una ragazza in pubblico era una sfida da denuncia.
Il tormento di quella targhetta se l’erano portata tutto il giorno per la città e nella loro curiosità;
un chiodo fisso attraente come le donnine in vetrina.
Dunque si erano ritrovati in stazione davanti a quella macchina, con qualche birra di troppo e qualche spinello a sfumare il confine del pudore in un terreno quasi impertinente.
Quella macchina forse il frutto di ciò che avevano bevuto e fumato per loro era la nuova frontiera del sesso, sicuramente da provare, per poter poi raccontare al paese dell’avventura.
C’era un buco, la scritta, un bottone con scritto start e un pertugio con l’indicazione della cifra da introdurre: tre fiorini.
Tre fiorini per il paradiso, c’era scritto anche nella targhetta; il paradiso a buon mercato.
Anche questa volta fu il temerario che si era impigliata la maglia a farsi avanti.
Un pezzo di ragazzo, grande e grosso, ma come diciamo dalle mia parti un po’ sempliciotto.
Aspettarono ancora una mezz’oretta così sarebbero stati più tranquilli, intanto si era fatto quasi mezzanotte e le luci nella stazione davano uno strano colorito ai visi delle persone, parevano alieni figli forse del duemila.
Quando la calma fu sufficiente e la birra aveva abbattuto anche l’ultima barriera di timidezza e di pudore, il nostro con gesto rapido e sicuro si portò davanti alla macchina.
Il un lampo calò i pantaloni e le mutande e restò con le chiappe  alla frescura della notte.
Introdusse rapido le monete e altrettanto rapido introdusse nel buco che gli stava davanti “parlando con bon rispeto” il suo “organo” sufficientemente turgido.
Giocava un po’ l’emozione, ma quell’avventura doveva essere vissuta.
“Il poro gramo” sembrava un astronauta in attesa del lancio, un’attesa quasi sacrale dipinta nelle linee tese del viso, solo la cicca di traverso gli dava un’aria meno assorta.
“Strucò” il bottone ed ebbe un lieve sbilanciamento su un fianco, ma subito la macchina ebbe un fremito e un rumore metallico si librò nell’aria.
“Tusi a parto par el paradiso” riuscì a pronunciare prima che il ciclo fosse del tutto attivato.
Poi il rumore aumentò così come la vibrazione della macchina.
Forse per chi stava a vedere il confine del piacere stava per essere raggiunto per poi entrare in quel paradiso che aveva le sembianze delle donne che la mattina avevano visto in vetrina.
Però un grido strozzato in gola  partì dal nostro “astronauta” che in fretta ritirò tutto il suo armamentario.
Vi fu un attimo di sgomento, anzi di panico, occhi persi che non sapevano dove guardare per la vergogna.
“M…M…M….mama, mama, che brusore” fu il mugugno che riuscì ad articolare  dopo che una mano provvidenziale aveva levato la spina della corrente della macchina.
Con le mani il malcapitato si premeva la parte bassa dolorante e si contorceva che sembrava un tarantolato.
“Cosa ghetu, te sintito poco ben?” aveva tentato di chiedere un compagno di avventura.
“Va in mona ti e la machina fu la risposta quasi rabbiosa del “poro gramo”
Lo portarono in fretta ai bagni al riparo da occhi indiscreti e curiosi che ormai si erano affacciati in quello scenario tragicomico.
Con sorpresa quando poterono vedere la “parte” dolorante, notarono che sulla sommità era cucito un bottone automatico  color alluminio.
A quel punto qualcuno cominciò a ridere altri non sapevano da che parte “trarsi”, nel senso che non sapevano se ridere o piangere.
Solo il malcapitato aveva poca voglia di ridere con quel “brusore e quella vergogna.
Batterono in fretta in ritirata e portarono l’amico del bottone  al pronto soccorso per le cure del caso o del c…..
Altrettanto in fretta e con poca voglia di scherzare tornarono al paesello lasciandosi alle spalle quel posto troppo in la nel tempo per dei ragazzi che per la prima volta si erano avventurati nelle strade del sesso e della trasgressione.
Restò un ricordo ridanciano di quell’avventura boccaccesca ed ancora ora se ne parla in paese a distanza di tanti anni.
“Tony boton” è il soprannome che è rimasto letteralmente cucito addosso al nostro amico che gli brucia ancora come la ferita dell’ago per la figura “porca” che aveva fatto.

Maurizio Boschiero

Nessun commento:

Posta un commento

Avvisi della settimana

Sabato 1 e domenica 2 febbraio alle porte delle chiese di tutta la valle ci sarà la vendita delle primule a favore del Centro di aiuto alla ...