La sensibilità

 


Fin da bambino capì che la sensibilità è una forza, non una debolezza. «Lev ha sempre avuto il dono – disse sua cugina Aleksandra – di sentire tutto con una forza sconvolgente.» Gli piaceva ascoltare il vento, sentire il cuore delle cose e delle persone, catturarne l’anima. Solo chi conosce la delicatezza sa cos’è la vera forza. Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore. Essere sensibili vuol dire vivere dieci, cento, mille vite ogni giorno. Quando sei sensibile non puoi fregartene o lasciar perdere. E lui non lo fece mai. 

Nel corso della sua vita fece esperienza di ogni cosa, conobbe la fama, il successo, la ricchezza, scrisse migliaia di pagine tra romanzi, racconti, opuscoli e pamphlet, si sposò, ebbe tredici figli; fu uno scrittore, un editore, un marito, un padre e un profeta. «Ma tutto ciò che io capisco,» disse una volta, «lo capisco solamente perché amo.» Tolstoj era un conte, era uno degli uomini più ricchi del suo paese, eppure rinunciò agli abiti da signore, al lusso, ai suoi privilegi, per condurre una vita semplice, regalando ciò che possedeva a chi ne aveva bisogno. 

«Non parlatemi di religione, di carità, di amore,» era solito dire, «ma fatemi vedere la religione nelle vostre azioni.» 

Tolstoj fu anche il primo teorico della non-violenza, predicò la fratellanza tra i popoli e le sue idee ispirarono un’altra grande figura del ventesimo secolo, Mahatma Gandhi. Fino al giorno della sua morte continuò ad aiutare gli altri, ecco perché molti dissero che era pazzo. 

In un mondo dove conta soltanto l’avere, il possedere le cose e perfino le persone, dove tutti  vogliono prendere, ma nessuno sa dare, Tolstoj sembrava pazzo.

Un giorno un suo vecchio amico, che al contrario di Tolstoj viveva negli agi e nel lusso, gli disse: «a che scopo fai tutto questo? Che ti importa degli altri? Dovresti pensare a te stesso». 

Al che Tolstoj gli rispose: «se senti dolore, sei vivo, ma se senti il dolore degli altri, sei umano.»


G. Middei

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