A sémo chìve in prèstio!
[Gianni Spagnolo © 25A21]
La lapide in foto si trova murata sulla scaletta d’accesso di una casa di Castelrotto (BZ), in piazza Kraus, poco oltre il portico piccolo del municipio. L’avevo notata già parecchi anni fa quando l’immobile venne ristrutturato. Riporta in caratteri gotici e in rima baciata, un detto tedesco che si ritrova anche in altre località del mondo germanico, talvolta con diverse sfumature ma con l’identico rimando: il nostro vivere è precario e nulla è per sempre.
- Questa casa è mia, eppur non mia.
- Chi era prima di me, pensava anch’egli che fosse sua; lui ne uscì ed io vi entrai.
- Dopo la mia morte, sarà ancora così.
Questa ne è la traduzione in italiano, che tuttavia non rende altrettanto bene del tedesco, difettando della giusta metrica.
Veder murato questo motto sulle pareti di una casa, che nel nostro immaginario collettivo rappresenta la stabilità e la continuità della famiglia, fa un po’ riflettere. Noi costruiamo case in pietra e cemento, concepite per sfidare i secoli, pur essendo la durata della nostra esistenza più rapportata a quella d’una baracca di legno. Case in cui abiteranno più generazioni, dove familiari e inquilini entreranno ed usciranno, talvolta senza volerlo, in un susseguirsi fortuito di circostanze.
L’acquisita maggior stabilità e durata delle condizioni di vita, almeno nella nostra piccola fetta di mondo, ci fa spesso dimenticare che anche noi abbiamo una data di scadenza. Un po’ come lo yogurt, che dura assai meno del vasetto che lo contiene. Cosa che sappiamo benissimo, ma a cui non badiamo, comportandoci come fossimo il vasetto invece dello yogurt. Anche i nostri sforzi e investimenti seguono questa linea, dato che tendiamo ad occuparci più del contenitore che del contenuto; pur consapevoli che nudi si nasce e nudi si muore.
Un tempo c’era maggior consapevolezza di questa precarietà, proprio perché assai incerte erano le condizioni di vita e perciò l’esistenza stessa andava affrontata con un certo distacco e fatalismo. Un modo di dire che mi riporta a questa mentalità è quello che si sentiva ripetere dai nostri nonni in occasione di lutti e disgrazie che colpivano qualcuno in paese:
“Ssavutu, belo, .. a sémo chìve tuti in prèstio!”
A questo mondo siamo tutti in prestito, di passaggio, cosa vuoi farci!
Una condizione instabile che presupponeva un afflato eterno, che oggi latita sempre più. Certo, c’entrava la prospettiva cristiana della vita, la trascendenza dell'esistenza e la consapevolezza dei propri limiti. Oltre all’accettazione dell’insondabile, che pur caratterizza la natura umana al di là delle nostre presunte certezze.
A quel tempo, questo modo di dire mi urtava non poco. Non accettavo, infatti, nell'esuberanza della giovinezza, una prospettiva così remissiva nei confronti della vita e delle sue vicissitudini. L'attribuivo alla sensibilità ottenebrata di vecchi prossimi alla data di scadenza e senza più stimoli. Non sarà un caso che ora mi trovi a riflettere proprio su questo tema in termini del tutto analoghi.
Murare quell'avvertimento all'ingresso di casa potrà sembrare un po' macabro, ma richiama vigorosamente alla propria caducità. Vi sottende però la speranza che questa consapevolezza induca a rapportarsi meglio con sé stessi, con gli altri e con l'ambiente.
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